Omelia (08-02-2004) |
don Elio Dotto |
Il coraggio di piegare le ginocchia Quel giorno fu certo difficile per Simone il pescatore riconoscere davanti a tutti il fallimento della notte precedente: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla» (Lc 5,1-11). E penso che non ci sia difficile immaginare il suo stato d'animo: anche noi, infatti, ci siamo ritrovati spesso in situazioni simili. Perché pure noi fatichiamo ad ammettere i fallimenti. Magari riconosciamo i nostri difetti, e confessiamo quelle colpe perdonabili per le quali facilmente prevediamo l'indulgenza degli altri: ma è davvero difficile ammettere quegli insuccessi radicali che ogni tanto segnano il nostro cammino. Soprattutto appare difficile riconoscere le nostre responsabilità, quelle scelte sbagliate che ci hanno portato al fallimento: al punto che non di rado ci nascondiamo dietro qualche buona scusa per alleggerire la coscienza. Accade in tal modo che anche il sacramento della confessione vada in crisi: confessarsi non sembra più così necessario come un tempo. «Io chiedo perdono a Dio nel mio cuore» – dicono oggi molti cristiani: come se una generica richiesta di perdono fosse sufficiente per ritrovare l'innocenza smarrita. Eppure sappiamo che per affrontare i problemi non bastano parole generiche o pie intenzioni. Un simile atteggiamento non è però del tutto ingiustificato: noi infatti non osiamo confessarci perché temiamo di essere presi troppo sul serio; temiamo cioè che gli altri siano troppo severi nei nostri confronti; o temiamo comunque che – una volta caduti in ginocchio – nessuno possa più rialzarci, ridandoci la dignità perduta. Noi dunque non riconosciamo i nostri fallimenti perché temiamo di ritrovarci soli con i nostri errori: appunto come pensava Simone, dopo quella notte terribile in cui non aveva preso neppure un pesce. Ma in quel tempo Simone ebbe il coraggio di vincere la sua paura: e lo fece perché aveva capito che di Gesù ci si poteva fidare; aveva cioè compreso che Gesù poteva rialzarlo, ridandogli la dignità perduta. «Signore, allontanati da me che sono un peccatore» – disse dunque Simone, gettandosi alle ginocchia di Gesù. «Non temere – rispose subito il Maestro, risollevando Simone dal suo fallimento – d'ora in poi sarai pescatore di uomini». Così dunque accadde in quel tempo al pescatore Simone, sul lago di Genésaret. E così potrà accadere oggi anche per noi, che sentiamo nel cuore il bisogno di essere sollevati dal nostro insuccesso. Anche noi, infatti, possiamo incontrare l'esigente Vangelo di Gesù: e allora avremo paura, ma saremo pure contenti; cadremo in ginocchio, ma insieme saremo sollevati; confesseremo il nostro fallimento innegabile, ma ascolteremo anche la sua verità consolante. |