Omelia (01-11-2012) |
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie) |
Commento su Apocalisse 7,2-4.9-14, Salmo 23, Prima Giovanni 3,1-3, Matteo 5,1-12 Oggi, festa di tutti i Santi, la Chiesa ci propone come Evangelo il brano di Matteo 5,1-12: le "Beatitudini". Mi soffermo in particolare su di esse, perché è troppo grande la commozione che mi assale quando leggo questa Parola. E subito mi viene in mente, per quella sorta di associazione di idee che non è mai casuale, un'altra parola, commossa e dolente ancorché densa di speranza, pronunciata in tempi duri, proprio come duri sono i tempi che stiamo oggi vivendo, da un uomo con la schiena diritta, Primo Mazzolari: «Le Beatitudini - diceva don Primo - non si predicano: sono per me e per tutti; non sono per gli "altri"... Che non si possano predicare l'ho capito bene in un lontano Ognissanti, quando mi fu imposto, dietro minaccia: "Tu, prete, oggi non predicherai". E quel giorno il "prete" ha letto soltanto: ma, nel leggere, egli piangeva e gli altri piangevano. Le parole che hanno la virtù di far piangere, o di gioia o di vergogna, non si predicano». La Parola si annuncia, non si predica. Troppo grande è nei predicatori - che non si trovano solo sui pulpiti delle nostre chiese - la tentazione di strumentalizzarla, di commentarla, di chiosarla, di buttarla sulla faccia, con sadica e tragica soddisfazione, di coloro che non la pensano come noi, che non hanno la nostra stessa visione della Chiesa, della Comunità e della storia. Questa parola deve poter penetrare, libera, nel più profondo della mia esistenza, per trasformarla. Essa sola mi può giudicare; essa sola può mettere a nudo i miei condizionamenti, può dare spessore e coerenza - cioè "senso" - alla mia vita e alle mie lotte. E se appena riesco ad avere il coraggio della sincerità, a non barare con me stesso, che è la suprema forma di inganno e di menzogna, mi accorgo quanto io - non gli "altri", ma io - sia "fuori dalle Beatitudini. Eppure, più leggo la parola di oggi, più mi accorgo di quanto sia importante la sua dimensione accentuatamente teologica che anticipa e supera la pur fondamentale dimensione antropologica . Detto in altre parole, attraverso le Beatitudini mi pare di riuscire a penetrare meglio, per quanto mi sia oggi possibile, la realtà stessa di quel Dio che purtroppo, e proprio in quanto "credenti", abbiamo così spesso lottizzato, e ancora lottizziamo, e di quel Regno di cui noi stessi tendiamo - quale tentazione, e quale terribile accecamento! - a stabilire i confini. Capisco, allora, che se questa Parola ancora non mi converte è perché troppi ostacoli, troppe ideologie, troppe filosofie, troppe burocrazie, troppo denaro e troppa prudenza (che non sempre è virtù teologale) continuo ad accumulare tra me e quel Dio che mi ama gratuitamente, senza chiedermi nulla in cambio, e che per nove volte dichiara "felici" coloro che sono "poveri", che sono "nella tristezza", che non sono "violenti", che "desiderano ardentemente ciò che Dio vuole"; che "patiscono insieme" con gli altri, che sono "puri di cuore", che "diffondono la pace", che sono "perseguitati", che sono "insultati". Che strana "religione" è quella di questo Dio... Quasi da non crederci... Un Dio che esalta proprio tutti quelli che il mondo, la politica, i manager dei grandi gruppi industriali e commerciali, talvolta le Chiese, e il buon senso comune, abbassano, umiliano, emarginano. Un Dio proprio "fuori dalle righe" dei nostri modelli culturali, delle nostre categorie mentali, un Dio che gratuitamente propone a tutti un Regno gratuito, senza condizioni. Dio non sceglie il povero perché è "migliore" del ricco; il mite perché è "migliore" del prepotente; il nonviolento perché è "migliore" del violento. Dio non sceglie il divorziato-risposato perché è "migliore" di chi ha onorato il suo matrimonio per tutta la vita. La categoria "migliore - peggiore" è una categoria umana, è estranea alla visione di Dio. Dio ama tutti, siamo noi che gli attribuiamo intenti discriminatori, propositi vendicativi, atteggiamenti epurativi. E tuttavia Gesù dichiara sul monte che Dio ama di un amore speciale il povero, il discriminato, l'insultato, il pacifico ad ogni costo, coloro che piangono - dichiara che essi sono "felici", "beati", cioè "privilegiati" - perché nella loro vita ... «si evidenzia e si, manifesta in maniera esplicita, visibile, quella profonda povertà universale che è il destino di noi tutti. Le riconosce un valore simbolico, sacramentale. Di fronte alla sofferenza, di fronte all'esperienza del male e della solitudine, siamo tutti poveri. Spesso non vogliamo ammetterlo. Allora le persone borghesi o ricche fanno ricorso alle molte risorse che possiedono per nascondere, per soffocare i gridi interiori dell'anima. Il denaro, il potere sono spesso palliativi, che danno l'illusione passeggera del successo, della felicità...» (Giorgio Gonella,Nel deserto il profumo del vento, Il Margine, Trento 2011, pp. 132-133). Altro che moralismo, il moralismo di molte nostre "omelie"! Questo è andare alla fede scorticante dell'Evangelo sine glossa, quello stesso Evangelo per cui Francesco d'Assisi, sentendo approssimarsi la morte, si fa distendere nudo al suolo, per rappresentare la kenosis, lo "svuotamento" (che è poi in fondo l'adesione totale alle Beatitudini) del Maestro. Al di fuori di questo modello, che non è certo un modello intimista né spiritualista, la fede diventa una bandiera da sventolare, una interminabile discussione destinata solo a suscitare un enorme sbadiglio, una ricchezza che si deteriora nel tempo, una religione funesta che divide, un tragico apparato di liturgie incomprensibili perché senza anima. Se la fede fosse così, non la riconoscerei. Non è la mia. La fede delle Beatitudini - una fede faticosa, certo - è quella che ci permette di presentarci di fronte al Trono e all'Agnello con vesti candide, come ci suggerisce la lettura dell'Apocalisse, con mani innocenti e cuore puro (Salmo 23); di sentire, insieme con il sommo sacerdote, "giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore, essendo anche lui rivestito di debolezza". È un grande messaggio per ognuno di noi singolarmente e per le nostre famiglie, perché anche noi, tutti, siamo i Santi di Dio. Per la riflessione di coppia e di famiglia: - Abbiamo letto le Beatitudini secondo Matteo. Qual è quella che sentiamo più vicina alla nostra esperienza di vita, e quale quella che facciamo più fatica a vivere nel nostro cammino di coppia e di famiglia? - I santi non sono persone eccezionali. Sono persone che, pur consapevoli della loro fragilità, hanno tentato di prendere sul serio l'Evangelo. Per la maggior parte i santi non sono "canonizzati". Molti non sono addirittura canonizzabili... Ne conosciamo di questi "santi"? Che cosa ci colpisce della loro vita? Luigi Ghia Direttore della rivista "Famiglia Domani" |