Omelia (21-10-2012) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Il vero signore? Colui che sa servire Secondo la versione di Matteo (20, 20 - 28) ad avanzare la richiesta è la madre dei due discepoli, nel racconto marciano essa viene rivolta invece dagli stessi Giacomo e Giovanni. Nell'uno e nell'altro caso, si tratta di una petizione azzardata e a dir poco inverosimile, considerato che essa viene rivolta al Maestro: "Vogliamo che tu ci faccia quello che noi chiederemo." Ciò che essi pretendono è infatti trascendentale ed esagerato, sproporzionato alle aspirazioni di ogni degno seguace della Legge di Dio perché sedere alla destra o alla sinistra dell'Altissimo, secondo l'antico Testamento indicava una posizione pari a quella di Dio, una condizione di condivisione del suo stesso potere sovrano. Come si rileva nel Salmo 110, scritto in occasione dell'intronizzazione di un monarca, la "destra" è la posizione di chi sta poco meno al di sotto di Dio, come si rileva al Salmo 110 scritto probabilmente in occasione dell'intronizzazione di un re: il monarca, essendo chiamato a svolgere un mandato di provenienza divina, al momento della sua intronizzazione sedeva nel tempio nel trono alla destra del Santissimo; sedere direttamente noi stessi alla destra di Dio equivale quindi a molto di più: ad essere come Dio. Una pretesa appunto inaudita e impensabile, che sottende la presenza di uno spiccato desiderio innato di grandezza, vanagloria e arrivismo, tipico delle nostre raccomandazioni attuali per aspirare ai grandi posti. Probabilmente i due figli di Zebedeo non immaginavano le conseguenze di una tale pretesa e per questo Gesù li redarguisce con parole convincenti: "Voi non sapete - cioè non siete convinti di - quello che chiedete. In quella circostanza si stava discutendo, nella compagine dei discepoli su chi di loro fosse il più grande e su chi potesse vantare maggiori meriti e con decorazioni per la fedeltà prestata. Gesù offre immediatamente la soluzione più convincente del problema: il più grande, il vero superiore nonché dominatore del mondo, è colui che è capace di servire con umiltà, mansuetudine e pazienza (Ef 4, 1 - 3) essendo capace di dare senza aspettarsi di avere il contraccambio. Nella dedizione al servizio risiede anche la soddisfazione personale proclamata dallo stesso Signore Gesù Cristo in una frase non contemplata dai Vangeli ma dagli Atti: "C'è più gioia nel dare che nel ricevere" (At 20, 35) e del resto è vero che l'egoismo e la presunzione illudono e accecano, o al massimo sono foriere di benefici passeggeri, mentre la carità sincera ed effettiva è fonte di grandi soddisfazioni nella sua stessa prassi. Il vero signore è chi sa donarsi disinteressatamente senza riserve anche a costo di dare la propria vita per gli altri. In definitiva è colui che beve lo stesso calice di Cristo, il che significa: che affronta lo stesso destino di morte di croce per amore di tutti. I regimi tirannici e totalitari sono destinati a crollare nonostante il loro successo apparente, quelli nei quali i dominatori si chinano a servire i loro sudditi saranno invece sempre visti con amore e riverenza, e non può avvenire diversamente. Il servizio è tuttavia reale quando comporta abnegazione, immolazione e sacrificio senza escludere la propria auto consegna. Massima espressione della vera autorità è pertanto solamente il figlio di Dio, che pur accogliendo l'appellativo di Maestro da parte dei discepoli ("Mi chiamate Maestro e dite bene, perché lo sono") esercita nella misericordia e nel servizio la propria incontrastata egemonia, soprattutto con la consegna di se stesso al patibolo. Siamo sulla linea del profeta Isaia, nella prima lettura, similmente ai giorni di Passione ci mostra la realtà esemplare del Servo Sofferente di Yahvè, votato al ludibrio e alla morte infame e truculenta, il quale non disdegna di offrire le sue membra per gli altri. Esso prefigura il Figlio di Dio la cui umiliazione raggiunge l'inverosimile quanto inverosimile è la nostra presunzione e la nostra vanagloria: accetta il dolore, il sacrificio, la prova e la morte in riscatto dell'intera umanità. La croce, che come più volte si è detto è la massima espressione dell'amore, suggerisce quindi il capovolgimento della logica mondana di superiorità e di arroganza; capovolge tutte le aspettative di potenza e di predominio tipicamente umane e pone l'uomo dal punto di vista di Dio, invitandolo semplicemente ad amare come Lui ha amato. Piuttosto che ambire sogni pretestuosi di grandezza e posizioni di gloria sovraumana è necessario pertanto disporsi a seguire Gesù nel vero servizio che si appella all'amore sincero e per ciò stesso all'umiltà e alla sottomissione che fuggono ogni vanagloria, orgoglio e tendenza di presunzione e di prevaricazione sugli altri. Non hanno spazio in questo contesto le pretese di affermazione altolocata e di potere indiscusso sulla massa poiché esse sono escluse a priori perché sono inutili e inconcludenti già in se stesse e perché precludono quello che è la vera possibilità di successo e di affermazione, e questa risiede semplicemente nella croce destinata a trasformarsi in gloria di resurrezione. |