Omelia (21-10-2012) |
mons. Roberto Brunelli |
Ho creduto e perciò ho parlato Quando si dice il malinteso. Duri a capire che Gesù era venuto per ben altro, gli apostoli si aspettavano da lui la fondazione di un regno terreno, e si preoccupavano di assicurarvisi i posti di comando. Un giorno, narra il vangelo di oggi (Marco 10,35-45), due di loro - i figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, che erano stati tra i primi chiamati - gli chiesero esplicitamente: "Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra": in altre parole, nominaci i più importanti dopo di te. La richiesta mosse le indignate proteste degli altri, ambiziosi non meno di loro, e mosse Gesù a dare un insegnamento che travalicava la situazione del momento per assumere una validità perenne: "I governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti". "I governanti opprimono...": accadeva duemila anni fa; costatiamo ogni giorno che accade anche oggi, e non soltanto nei regimi dittatoriali. Le tangenti, i voti comperati, gli sperperi di danaro pubblico, le collusioni con i delinquenti e altre simili prodezze di chi si è liberamente assunto ruoli di governo sono anch'esse forme di oppressione, perché le loro conseguenze gravano economicamente sugli onesti e ancor più perché tradiscono la loro fiducia e umiliano la loro dignità. A simili comportamenti, Gesù oppone il proprio esempio e ne trae la regola per chi vuole essere suo discepolo: la vera grandezza non è quella di chi ricerca solo il proprio vantaggio, e magari allo scopo non esita a manipolare gli altri, ma quella di chi opera con sincerità per il bene comune. Vale per la vita privata dei singoli, e a maggior ragione dovrebbe valere per chi occupa ruoli dirigenziali nella vita collettiva. Gli onesti non avranno forse gratifiche e riconoscimenti, non accresceranno i propri beni, ma potranno ogni sera addormentarsi in pace con sé stessi e con Dio. Questa è anche la domenica della Giornata missionaria mondiale, che torna ogni anno eppure non è ben compresa. Molti la riducono a un appello a favore dei missionari attivi nel terzo mondo, a una richiesta di aiuto perché possano continuare a fare scuole, dispensari, pozzi per l'acqua e quant'altro: tutte cause degne di aiuto ma, non bisogna dimenticarlo, esse non esauriscono il compito dei missionari, i quali vanno anzitutto per far conoscere Gesù Cristo. Peraltro l'aiuto materiale non esaurisce neppure l'impegno di chi vuole aiutarli: la loro opera merita anzitutto una partecipazione affettiva, che si traduce in preghiera. La Giornata offre poi l'occasione di riflettere su quale sia il compito essenziale della Chiesa, quello che motiva la sua stessa esistenza ed è sintetizzato nelle ultime parole pronunciate dal suo Fondatore: "Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato". Questo mandato non riguarda soltanto preti e frati, né riguarda soltanto i Paesi lontani, dove il vangelo è ancora poco o per nulla conosciuto: per il battesimo, con cui sono entrati a far parte della Chiesa, tutti e singoli i già cristiani condividono della Chiesa il compito essenziale. Tutti cioè devono sentirsi missionari, vale a dire testimoni e annunciatori del vangelo in cui credono, sia quelli che partono per Paesi lontani, sia quelli che restano. In un mondo come il nostro, dove il senso cristiano della vita appare così spesso appannato se non dimenticato, è importante che chi invece lo condivide ne sia anche testimone, lo annunci là dove si trova a vivere: in famiglia, nell'ambiente di lavoro, tra gli amici, dovunque; lo annunci con la propria coerenza e quando è il caso anche con la propria parola. Di qui il tema della Giornata di quest'anno: "Ho creduto e perciò ho parlato". |