Omelia (28-10-2012) |
padre Gian Franco Scarpitta |
La fede, prospettiva possibile Su indicazione di Benedetto XVI la Chiesa sta intraprendendo l'anno della fede, nel quale siamo invitati a riflettere sul significato del nostro Credo, della sua professione da parte nostra, della fede in senso soggettivo e in senso oggettivo. E proprio questa riflessione ci conduce, per ciò stesso, a considerare i vantaggi e i benefici di questa grande risorsa che è un dono di Dio. "Va', la tua fede ti ha salvato", così Gesù congeda il non vedente che lo aveva supplicato di prestargli attenzione e sul quale era intervenuto prodigiosamente concedendogli il recupero totale della facoltà visiva. Con queste parole Gesù afferma di non voler semplicemente compiere un atto di pietà e di compassione nei confronti di un povero malcapitato che ha incontrato quasi casualmente sul suo cammino, di non voler mostrare una benevolenza fittizia con la quale ci si mostra pazienti quanto basta per toglierci di torno una persona molesta e di non aver eseguito un atto di esibizionismo spettacolare nei suoi confronti. Piuttosto Gesù prende atto di quella che è stata la buona disposizione di questo povero cieco, che già sin dall'inizio lo aveva chiamato "figlio di Davide riconoscendo in lui il Messia Salvatore promesso e atteso dalle genti, la cui Parola e il cui annuncio adesso stanno salvando rivelando il disegno di amore del Padre. Ammira in lui quella che certamente era stata l'apertura del cuore, la sottomissione dell'intelletto e della volontà alla sua Parola, la deliberazione totale per Lui, insomma riconosce e stima in questo povero cieco una fede profonda e indiscussa ed è appunto questa ad avergli meritato il recupero della vista. Il cieco, che viene identificato con il nome di Baritmeo (in aramaico "figlio di Timeo") dimostra una fede radicata e consolidata dalla sofferenza, che consiste nel credere e nell'affidarsi incondizionatamente al Figlio di Dio. Egli concede tutto se stesso a Colui che ha riconosciuto come il Salvatore e proprio questa premurosa sollecitudine che è la fede gli procura la guarigione fisica. Nella fede egli aveva visto in profondità, osservando la realtà con maggiore dovizia di particolari, ed era arrivato così a concepire la pienezza della Rivelazione e della salvezza realizzata da Dio in Cristo. La fede nel Signore lo aveva condotto a riconoscere il mistero di Dio che si concede agli uomini e a farlo proprio, cosicché egli aveva "visto Gesù" ancor prima che questi giungesse sul posto e questa visione interiore, molto più sviluppata e più capace rispetto a quella dei cosiddetti "vedenti", gli merita non soltanto che Gesù lo ascolti nelle sue richieste, ma addirittura che sia lui stesso a farlo chiamare: "Coraggio, alzati, ti chiama". In una famosa poesia dedicata alla moglie non vedente, Montale sottolinea come la vista della sua consorte, nonostante la defezione oftalmologica, fosse molto più sviluppata della sua, poiché lei era in grado di vedere e di soppesare molto meglio del marito. Così è in effetti il vedere cristiano: il valicare l'immediato e l'evidente, prescindere da ciò che la sensorialità ci presenta e interpretare ogni cosa sotto l'aspetto della volontà di Dio. Tutto questo è la fede. Aprire gli occhi ai ciechi vuol dire non solamente guarire in senso fisico ma anche liberare dalla cecità della presunzione e dell'orgoglio che precludono ogni cosa anche a noi stessi. Questa è la promessa divina nel profeta Geremia 31, 8 (I Lettura): "Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno qui in gran folla." E anche in Isaia: "Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri?" (Is 42, 6 - 7). Ottenere la guarigione non corrisponde solamente alla possibilità di distinguere gli oggetti e i colori con le facoltà ottiche, ma sottende anche la prerogativa di saper guardare ogni cosa sotto un'altra ottica. Per questo la Scrittura, mentre parla della volontà decisionale di Dio di intervenire sulla cecità del popolo, insiste sull'apertura del cuore e sulla necessità dell'attenzione da parte di quanti sono raggiunti da Dio: poiché alla libera iniziativa della rivelazione deve corrispondere l'atto altrettanto libero della fede, il saper vedere e distinguere ogni cosa deve essere prerogativa di chi si affida radicalmente a Dio. Il contesto nel quale siamo obbligati a marciare pone serie difficoltà alla perseveranza nella nostra fede e comporta estenuanti lotti per la tutela del nostro Credo e per la sua salvaguardia e diffusione. Complice l'ateismo isterico e di massa, la secolarizzazione, il procedere contro corrente delle mode e dei costumi che avversano il senso etico e religioso, il credere e l'affidarsi sono spesso suscettibili di interpretazioni soggettive e non di rado si trasformano nella cultura relativistica che esclude la Verità assoluta e del resto, quando si consideri il solo punto di vista umano, la nostra fede ci invita ad accogliere la certezza di quanto comunemente viene definito assurdo, fascinoso e irrazionale. E non va dimenticato che vi sono parecchie circostanze nelle quali vacilla la nostra perseveranza nella fede: due giorni or sono dalle mie parti si è celebrato il funerale di un giovane sacerdote (33 anni) stroncato un po' alla volta da un cancro, che quando seppe di essere gravato da questo terribile male pianse amaramente esternando senza riserve il suo timore: "Ho paura di perdere la fede." La certezza di dover affrontare il trapasso lasciando il fior fiore della gioia giovanile del suo ministero, lo aveva ridotto alle lacrime e alla disperazione perché pur riconoscendo la grandezza di un Dio Amore vita eterna, comunque lui era votato giovanissimo alla morte e alla fine di ogni progetto con i suoi ragazzi, con la sua gente.... Proprio come nel caso di Gesù che nella solitudine esclamava: "Mio Dio, perché mi hai abbandonato?" Non è facile perseverare nella fede quando si è interessati direttamente da simili esperienze sconcertanti, perché non si sa dove trovare il coraggio per affrontare il vuoto e l'imprevisto. Eppure quella della fede resta sempre l'unica prospettiva possibile, l'unico atto con quale nulla si rischia e tutto è possibile conseguire e vale la pena che ci ponga il problema di come perseverare in essa e come restare in essa radicati e avvinti nonostante indescrivibili prove dolorose. Ocorrerebbe che proprio nei venti contrari noi fossimo ragguagliati della presenza di un Dio amore che comunque non ci abbandona e che ricompensa sempre ogni minimo atto della nostra adesione a lui. In definitiva, la fede è un atto di fiducia, di abbandono e di apertura al Signore che si esplica in tutti sensi e su tutti i fronti. E raggiunge tutti i liti. |