Omelia (21-10-2012) |
don Luigi Trapelli |
La gioia del donarsi Essere cristiani è vivere servendo gli altri, senza aspirare ad alcuna carriera. Lo stile del cristiano è la logica della gratuità. Sia la prima lettura, sia il brano evangelico, evidenziano questi aspetti. Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, pongono una domanda a Gesù. Vogliono già in partenza che Gesù li esaudisca. Il quesito riguarda la possibilità di sedere uno alla destra e uno alla sinistra di Gesù nel regno di Dio. Ambiscono ai posti migliori. Forse si sentivano superiori agli altri. Un sentimento molto diffuso anche oggi. Gesù li invita a riflettere su due termini: il calice e il battesimo. Il calice era visto come il calice dell'ira di Dio nella prima Alleanza ed ora era collegato alla sua futura passione. Il battesimo immergeva le persone in quella realtà tragica che è la stessa morte. Gesù, di fatto, invita i suoi discepoli a partecipare alle sue sofferenze, in fedeltà al progetto del Padre. I discepoli sono convinti di mettere in atto tali gesti, anche se non ne capiscono la vera portata. Contano sulle proprie forze e non su Dio. E' Dio infatti che, nella sua gratuità e nel Suo amore, compirà le sue scelte: i discepoli sono chiamati ad affidarsi a Lui. La reazione degli altri dieci è di profondo sdegno. Gesù pone a tutti un insegnamento. Lo stile del regno di Dio non è la logica umana del prevalere, dell'essere i primi, ma lo stile dell'umile servizio. Gesù compirà, in Giovanni, l'umile gesto della lavanda dei piedi. Il Figlio dell'uomo, infatti, è venuto per servire e non per essere servito. Questo testo è chiaramente comprensibile. Nel grande e nel piccolo prevale l'arroganza del potere. Pensiamo alla politica, all'economia, alle imprese, agli uffici. Chi ha un potere sembra che lo eserciti nella logica del dominio, perché si sente più importante degli altri. Anche nei ragazzi e giovani è spesso presente tale mentalità del prevalere sull'altro e anche nei rapporti di coppia. Per Gesù, l'altra persona non è il nemico da distruggere, ma l'amico, il fratello da amare, non perché ha tante qualità o doni, ma perché è figlio di Dio con i propri limiti e difetti, ma anche perché ha una grande dignità. Gesù tratta tutti alla stessa maniera, ci invita a non mettere maschere, ma ad essere noi stessi. I titoli che abbiamo acquisito non sono motivo di vanto, per creare divario tra le persone. Non è importante quanto faccio, ma lo stile con cui opero. Poiché è dando che si riceve e ciò che faccio accresce la mia felicità. |