Omelia (28-10-2012) |
don Alberto Brignoli |
Il grido del povero è professione di fede Sono state tre domeniche particolarmente suggestive, quelle che oggi concludono l'Ottobre Missionario. Le letture ci hanno proposto tre diversi atteggiamenti di discepolato, legate a tre figure di personaggi che hanno un incontro molto particolare con il Maestro, e di conseguenza danno tre diverse risposte a questo incontro personale. Se nei primi due casi (il giovane ricco e i due figli di Zebedeo), il livello della richiesta dei personaggi che incontrano Gesù è di una certa elevatezza (uno chiede "la vita eterna", gli altri chiedono "un seggio di gloria"), il terzo incontro (quello del Vangelo di oggi) è tra Gesù e un uomo che non ha altra richiesta se non quella umile di un gesto di pietà nei suoi confronti; un gesto che gli permetta di ricuperare la vista e di poter tornare ad avere, come tutti gli altri, una vita normale. Gesù acconsente alla sua richiesta: e non solo per operare in lui un prodigio come ne aveva compiuti tanti altri nella sua missione, ma per fare di lui il simbolo dell'uomo di fede, spesso incapace di vedere una via d'uscita in mezzo alle tenebre della vita, e che riesce a intraprendere il cammino di sequela di Gesù per aver gridato, con fede appunto, tutta la sua disperazione. Anche quello della disperazione gridata, dell'ansia di salvezza e della sofferenza della croce è un'espressione della nostra fede alla quale, in quest'Anno a essa dedicata, faremmo bene a porgere attenzione, evitando di considerarla solo un momento buio da superare con rapidità per non essere considerati uomini e donne di poca fede. Anche la disperazione e il dubbio sono un momento d'incontro con Dio. Sono molto pochi gli episodi di guarigione, nel Vangelo, in cui il malato è chiamato per nome dal narratore. Se lo fa', come in questo caso, è per farci comprendere che un incontro vero con Gesù non è una cosa qualsiasi: è un incontro personale, di due persone, di due storie, di due vicende ben definite, che a una cambia la vita, e all'altra permette di manifestarsi come il Dio della Vita. Leggere in chiave missionaria questo commovente incontro di Gesù con Timeo, il cieco di Gerico, mi induce a pensare come uno dei compiti principali del missionario sia quello di annunciare all'uomo che incontra sul proprio cammino che Dio è un Dio misericordioso, dal cuore grande, che ha compassione dell'uomo che grida verso di lui tutta la sua disperazione. Nei paesi tradizionalmente considerati "di missione" si viene costantemente a contatto con un'umanità che in mille maniere grida verso Dio: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!". Lo gridano i popoli senza terra: eritrei, palestinesi, sinti, rom, bosniaci e sudanesi, costretti a elemosinare a nazioni vicine, ma spesso anche lontane, un pezzo di terra che - stando alla Carta dell'ONU del 1948 - spetterebbe loro per diritto. Lo gridano i popoli che non conoscono pace: dall'Afghanistan alla Siria, dalla Libia all'Iraq, dal Mali al Messico...sono oltre sessanta i paesi al mondo che segnalano attualmente situazioni di conflitto al loro interno. Non c'è continente della terra, dove si possa dire: "Qui c'è pace", ancor meno là dove si continuano a investire quantità spaventose di denaro per armare gli eserciti delle cosiddette "forze di pace". "Dio, abbi pietà di noi!" è il grido dei popoli che soffrono la fame: 870 milioni di persone, 15 milioni dei quali - complice anche la crisi economica - nei paesi cosiddetti "sviluppati", come la nostra Italia, anche se a noi spiace parecchio dover ammettere che l'11% delle nostre famiglie vive sotto la soglia della povertà. E non sono solo famiglie extracomunitarie: più del 30% di quelle che accedono ai servizi delle mense della Caritas sono italiane. E gridano "pietà" moltissime altre persone, in ogni angolo del mondo: donne violentate e uccise tra le mura domestiche (una ogni due giorni in Italia), prigionieri torturati, bambini abbandonati per strada, malati terminali che faticano non solo a vivere, ma anche a morire... nessun credente può rimanere sordo, di fronte a quest'umanità che grida la sua disperazione. E per via del contatto più immediato con molte di queste situazioni, il missionario è chiamato più di ogni altro credente non solo ad ascoltare, ma a dar voce, ad amplificare il grido di quest'umanità disperata. Lo slogan scelto dalla Chiesa Italiana per l'Ottobre Missionario di quest'anno recita: "Ho creduto, perciò ho parlato", e si richiama direttamente al tema della fede da vivere prima ancora che da testimoniare. Ma non crediamo che il povero, con la sua disperazione (non solo espressa, parlata, ma addirittura gridata), non sia in grado, in questo modo, di essere un vero testimone del Vangelo, a volte senza nemmeno esserne consapevole "Avere pietà" di questa umanità, averne compassione, non significa "commiserare": quello, siamo capacissimi tutti di farlo, e anzi spesso ci riteniamo "a posto" solo per il fatto di aver detto anche solo "Poverini!" di fronte a certe immagini che i mezzi di comunicazione ci mostrano. Non basta; anzi, non serve proprio a niente. La compassione del Dio di Gesù Cristo (e il Vangelo di oggi è eloquente) non è una sterile commiserazione delle sofferenze altrui, ma è una vera e propria "com-passione", è un "soffrire insieme", è sentirsi partecipe delle sofferenze dell'altro e fare qualsiasi cosa purché l'altro riesca ad abbandonare la propria situazione di sofferenza. Gesù non è venuto su questa terra solo per essere vicino all'uomo che soffre; Gesù è venuto perché l'umanità in lui abbia vita, e vita in abbondanza! Gesù non fa del pietismo o dell'assistenzialismo, di fronte all'uomo sofferente. Gesù è un liberatore, uno che ascolta il grido del povero anche là dove tutti (addirittura gente che dice di essere suo discepolo...) cercano di zittirlo; lo fa alzare in piedi, gli fa dire con le sue stesse parole che è possibile essere salvati; e una volta liberata l'umanità sofferente, desidera che si faccia sua seguace, per proclamare a tutti la misericordia che le è stata usata! Il povero liberato è testimone più di ogni altro del dono che ha ricevuto per la sua fede "urlata" in Gesù Cristo! Se come missionari ci vantiamo spesso di essere per i più poveri il segno di un Dio che libera e che salva, allora dobbiamo partire da qui. Da un atteggiamento che non faccia della consolazione e della vicinanza al povero l'espressione di una fede "asettica" che lascia le cose così come sono; da una maniera di gestire le risorse e i progetti che da esse scaturiscono che punti a un reale sviluppo dell'umanità povera, e non a un assistenzialismo che non riesce mai ad uscire da una "comoda" situazione di emergenza; dobbiamo partire dall'annuncio senza paura di un Vangelo che smuova le coscienze di quei benpensanti (credenti o meno che essi siano) che hanno tutto l'interesse a "far tacere" il povero e a lasciarlo, oltre che povero, ignorante. E dobbiamo giungere anche noi a ciò cui Cristo giunge al termine di questo incontro con Timeo: annunciare al povero che è la sua fede nel Dio della vita che l'ha salvato, e che ora tocca a lui annunciare, essere discepolo della misericordia e della compassione di Dio verso ogni uomo, in particolare verso chi gli è simile nella povertà. Aiutare un'umanità disperata a risollevarsi dalla sua situazione senza chiederle di fare altrettanto verso chi continua a soffrire, non fa altro che continuare a creare squilibri, tra superiorità e di dipendenza. Chiunque si dice missionario del Vangelo, in ogni parte del mondo, in ogni situazione di annuncio, oggi deve lasciarsi scuotere da questa parola liberatrice; perché anche grazie alla pochezza delle nostre opere ci sia sempre un'umanità oppressa capace di riscattare la propria vita, e di fare altrettanto con chi ancora continua a soffrire, esortandolo con le parole del vero discepolo: "Coraggio, alzati! È il Signore che ti chiama!". |