Omelia (28-10-2012) |
Gaetano Salvati |
Chi è Colui che grida? San Marco racconta che Gesù, mentre "partiva da Gerico" (Mc 10,46), viene fermato da un cieco di nome Bartimeo. Questi comincia a gridare e a dire: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me" (v.47). Il Maestro ascolta la sua implorazione, si accosta all'uomo e gli dice: "Che cosa vuoi che io faccia per te?" (v.51). Il cieco, pur conoscendo la disponibilità assoluta del suo interlocutore, non pretende beni terreni (v.21) per soddisfare la sua indigenza; tanto meno, richiede l'eccellenza nella vita (v.37). Chiede, invece, di ritornare a vedere di nuovo (v.51). Il Dio della vita, allora, incarnato nella disponibilità a sollevare le afflizioni umane, guarisce il "mendicante". La storia della guarigione del cieco Bartimeo risolve i numerosi problemi affrontati nel capitolo decimo del vangelo di san Marco, ultimo dei quali è la domanda posta dai figli di Zebedeo a Gesù (v.37), e getta luce sul senso della nostra condizione umana e cristiana. Innanzitutto, Bartimeo raffigura l'uomo in perenne ascolto della Parola, naturalmente predisposto a sentire e, liberamente, acconsentire alla chiamata di Dio. Difatti, non è Gesù che si fa vicino all'ex cieco, ma è quest'ultimo che, avendo preso coscienza della verità proclamata dal Maestro, vuole incontrarLo. Bartimeo, però, è anche l'immagine del discepolo fedele che rimane al suo posto, procede solamente nella preghiera, nella supplica di quanti sanno di essere poveri e invocano la liberazione dall'Alto. La povertà accennata è importante per evitare la tentazione di ritenere il cristianesimo una questione che si gioca solo dalla nostra parte. Noi non siamo cristiani perché, naturalmente, siamo capaci di credere nella misericordia di Dio; siamo discepoli perché abbiamo risposto (stiamo rispondendo) ad un invito. A questo punto, domandiamoci: chi è Colui che strilla? Il cieco che vuole essere guarito, o è Cristo che grida al nostro cuore? La risposta viene dal Maestro. Egli proclama che per viverLo, per seguirLo, bisogna ridurre al silenzio i nostri egoismi, e ascoltare la Sua parola, vale a dire, concedere spazio alla Sua opera nella nostra esistenza. Ora comprendiamo il valore del discepolato: il sanato di Gerico (v.46) è il compendio del mistero cristiano, di ciò che siamo (che dovremmo essere), cioè dell'incontro fra l'umano andare e il divino venire, è la creatura che ha accolto Dio ed esprime, nella storia, la Sua immagine gloriosa. In questo senso, il contesto della guarigione è la preghiera incessante che diviene lode per i benefici concessi da Dio. Ma quali sono questi benefici? La grazia di seguirLo fino alla gloria della vita nuova; di scorgere nei volti del prossimo, la presenza dell'Amato; infine, la cosapevolezza che l'invocazione del nome di Gesù libera il nostro cuore dalla paralisi del peccato, la causa che favorisce l'inerzia dell'amore. Dunque, come il grido di Bartimeo ha fermato Cristo Gesù, manifestazione della Sua compassione, così ogni nostra azione deve essere animata dallo stesso sentimento. Essere discepoli, infatti, non significa unicamente palesare la propria fede, bensì concedere tempo a chi ha bisogno di verità; annunciare, con l'esistenza trasformata dal Suo incontro, la bellezza di un Dio pronto in ogni istante a condurre l'uomo verso la sua pienezza. Amen. |