Omelia (28-10-2012) |
mons. Antonio Riboldi |
Una insistenza della preghiera che viene ripagata "Che vuoi che io ti faccia?" E' domanda che Gesù pone al cieco, che aveva incontrato, mentre era in viaggio. E la risposta diretta del cieco è una grande lezione su cosa significhi avere fiducia, ossia fede: 'Rabbunì, che io riabbia la vistà. Tante volte capita anche a noi, nella necessità, di rivolgerci a Dio, ma quasi con arroganza, con la pretesa di essere esauditi, che è ben diversa dalla fede, che è un rimettersi alla bontà di Dio, certi che Lui sa quello che giova a noi ed è il nostro vero bene. Pregare è, credo, innanzitutto affidare a Dio ciò che siamo e desideriamo, poiché è evidente la nostra continua esperienza di quanto poco possiamo e, quindi, la necessità di rivolgerci a Chi invece può tutto, ma senza mai dimenticare come ho già detto e ribadisco - che il Padre sa meglio di noi quale è il nostro vero bene. Questa è la fiducia che dobbiamo dimostrargli, mettendo tutta la nostra vita nelle sue braccia e lasciando a Lui, con molta fiducia, l'opportunità o meno di esaudire i nostri desideri, poiché noi, nella nostra pochezza, troppo spesso, misuriamo il bene della vita solo guardando alle necessità della terra, ossia alla breve esperienza che facciamo qui, prima della vera vita eterna, che per Dio è il nostro vero fine, la nostra vera realizzazione e salvezza. Pregare è dialogare con Dio, per imparare a conoscerne i pensieri, il progetto d'amore da Lui pensato per ciascuno di noi. Vi può essere un momento più importante del dialogare con Dio? Ma sappiamo come è difficile questo atteggiamento già solo tra di noi, spesso le nostre sono solo chiacchiere senza contenuto, un parlare che fa solo rumore, ma quando il parlare diviene dialogo allora davvero si cerca nell'altro e con l'altro il vicendevole bene. Ci vuole però tanta fiducia, immensa fiducia, l'uno con l'altro: è un cammino difficile, come fu quello di Bartimeo, il cieco di cui parla il Vangelo di oggi: "Mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: 'Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me'. Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: 'Figlio di Davide, abbi pietà di me!'. Allora, Gesù si fermò e disse: 'Chiamatelo'. E chiamarono il cieco dicendogli: 'Coraggio! Alzati, ti chiama'. Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: 'Che vuoi che io ti faccia?'. E il cieco a lui: 'Rabbunì, che io riabbia la vistà. E Gesù gli disse: 'Va', la tua fede ti ha salvato'. E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per strada". (Mc, 10, 46-52) E' davvero commovente la fede e la semplicità del cieco Bartimeo. Quando si rivolge a Gesù innanzitutto si appella alla Sua pietà, ed è questa fiducia che tocca il cuore di Gesù e diviene guarigione per Bartimeo. Molto diversa dalla preghiera di troppi che, a volte, si rivolgono a Dio con la presunzione di imporgli ciò che riteniamo ci sia necessario, senza chiederci se rientra nel nostro vero bene, quello che Dio solo conosce: un bene che non può essere solo la soddisfazione di quel che necessita qui, ma va oltre, e proprio per questo noi miserelli non siamo neppure in grado di valutarlo. È giusto, dunque, rivolgerci a Dio nelle nostre necessità, ma è più saggio abbandonarsi poi al Cuore del Padre, che sa quello di cui veramente abbiamo bisogno. Ho conosciuto un uomo che aveva alle spalle una vita certamente lontana da Dio. Si trovò un giorno a doversi riparare dalla pioggia in una chiesa. Il silenzio del luogo sacro lo attrasse e avvenne l'Incontro. Passò ore davanti al Santissimo come a voler ricucire un dialogo che forse non c'era mai stato. Ma quando uscì da quella chiesa era ben altro, tanto che diceva a tutti coloro che conosceva o incontrava, meravigliandoli: 'Dio esiste. lo l'ho incontrato.'... e scrisse anche un libro eccezionale su questa sua esperienza di vita... divina. Così come conosco famiglie che nella casa hanno un angolo, un piccolo spazio - tanto prezioso - per i momenti di preghiera, dove tutti, a sera, si ritrovano per condividere fede e fiducia e Dio li ripaga con una vita insieme che è vera comunione. Quando ci si affida a Dio, Lui non ci lascia mai a mani vuote. Ben diversa la situazione di una persona che era in difficoltà e viveva il grande male della disperazione. Quando le dissi di provare a fidarsi del Padre e invocarlo nella preghiera, la risposta mi agghiacciò: 'Ma lei crede ancora a queste cose?'. Purtroppo sono tanti che ragionano come quell'uomo, ma sappiamo tutti come il dolore, tante volte, possa essere devastante, soprattutto se affrontato con le sole nostre forze, che sono talmente povere, fino a poter giungere a volergli porre un fine con il suicidio. Bisogna ritornare a chiederci, tutti, quale posto abbia Dio nella nostra vita? Dio non voglia, davvero, che lo abbiamo ridotto ad una pura astrazione, una illusione, una tradizione da vecchi... peggio ancora 'oppio dei popolì. Dio esiste, è il Vivente e la Sorgente della nostra vita, è Colui che ci mantiene nell'essere e nell'esistere e ha cura di noi, di ciascuno di noi... personalmente! Questa è la nostra fede e questa è la ragione che ci porta a chiederci quale posto abbia ancora, in noi e nella nostra vita, la preghiera? Meglio ancora quale posto ha Dio in noi e come e quante volte nella giornata Gli parliamo, anche solo con uno sguardo o un sospiro del cuore o un breve dialogo spontaneo con Lui: questa è l'essenza della preghiera, sapere che c'è e veglia su di noi ed è l'Unico di cui non possiamo fare a meno. Non è lui l'assente, ma siamo noi che troppo siamo distratti da altre cose... Lui attende solo che, come il cieco Bartimeo, Gli rivolgiamo attenzione, parola e amore. Voglio ricordare un esempio di preghiera che mi ha dato gioia. Era 1'8 maggio del 1968, qualche mese dopo il terremoto del Belice. Subito dopo il dramma avevamo costruito, accanto alle baracche, una chiesa-tenda, come a ricordare a tutti che il Padre era tra di noi. Venne a visitarci l'On.le Aldo Moro. Quel giorno, come è usanza, vi era la supplica alla Madonna di Pompei. Il Presidente arrivò quando era iniziata l'ora di adorazione. Chiese di parteciparvi e stette per tutto il tempo in ginocchio, in atteggiamento di profonda preghiera, lasciando tutti noi stupiti, quasi attoniti. Solo dopo visitò le baracche. Ricordo che accanto a me un uomo, visibilmente commosso, disse: 'Finché ci sono uomini così al Governo possiamo avere tanta fiducia'. Sarebbe bello se ciascuno di noi creasse un momento della giornata in cui poter dialogare, con calma e nella pace, con Dio. Darebbe alla vita un altro sapore, quello che solo Dio sa donare. Ma saremo capaci di avere la fede di Bartimeo? Approfondiamo questo valore profondo della preghiera con le parole del caro Paolo VI: "La preghiera è un colloquio; un colloquio della nostra personalità attualmente cosciente con lui, l'interlocutore invisibile, ma avvertito presente, il sacro Vivente, che riempie di timore e di amore, il divino Ineffabile, che Cristo, (cfr. Mi.11,27) facendoci il grande, inestimabile dono della rivelazione, ci ha insegnato a chiamare Padre, cioè fonte necessaria e amorosa della nostra vita, invisibile e immenso come il cielo, come l'universo, dov'egli si trova, tutto creante, tutto penetrante e continuamente operante. Come risvegliare questo fondamentale senso religioso, nel quale soltanto la nostra voce minima, ma piena di significato, piena di spirito, trova la sua atmosfera, e può esprimersi gemendo e cantando la sua filiale parola: Padre nostro, che sei nei cieli? Risvegliare, dicevamo, nell'uomo moderno questo senso religioso, come si può? (cfr. Guardini, Introduzione alla preghiera). Perché noi avvertiamo l'enorme e cresciuta difficoltà, che oggi la gente incontra nel parlare con Dio. Il senso religioso oggi si è come affievolito, spento, svanito. Almeno così pare. Chiamate come volete questo fenomeno: demitizzazione, secolarizzazione, autosufficienza, ateismo, antiteismo, materialismo... Ma il fatto è grave, estremamente complesso, anche se si presenta in pratica così semplice, e invade le masse, trova propaganda e adesione nella cultura e nel costume, arriva dappertutto, come fosse una conquista del pensiero e del progresso; sembra caratterizzare l'epoca nuova, senza religione, senza fede, senza Dio, come se l'unità fosse emancipata da una condizione superflua e oppressiva (cfr. Gaudium et Spes, n. 7). Così non può essere, voi lo sapete: ricordate forse - per dire tutto con un'immagine - la parabola del «filo dall'alto» dello Joergensen, quel filo che sostiene tutta la trama della vita, spezzato il quale, tutta la vita si affloscia e decade, perde il suo vero significato, il suo stupendo valore; quel filo è il nostro rapporto con Dio, è la religione. Essa ci sostiene e ci fa sperimentare in una gamma ricchissima di sentimenti, la meraviglia di esistere, la gioia e la responsabilità di vivere. Noi siamo certissimi di ciò. Il nostro ministero vi è essenzialmente impegnato, e soffre osservando come la nostra generazione faccia fatica a conservare e ad alimentare questo senso religioso sublime e indispensabile". |