Omelia (02-11-2012) |
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COMMENTO ALLE LETTURE a cura delle Clarisse di Città della Pieve E' significativo ritrovare oggi, in una delle tre messe proposte, il brano di vangelo delle beatitudini, che ha accompagnato la grande solennità di ieri: ieri la liturgia ci ha portato in paradiso, anche noi in festa con la Chiesa trionfante, felici ("Beati", appunto...) insieme a tutti i santi nel contemplare il futuro di gloria che ci attende. Oggi il clima è tradizionalmente più mesto, per lo meno più raccolto: chi ci spalanca le porte oggi è la Chiesa purgante, che ancora è in uno stato di sofferenza e chiede la carità della nostra preghiera, della nostra penitenza, per poter accedere alla gioia del Paradiso. Eppure la liturgia fa risuonare con forza la stessa parola: "Beati!". Già beate, dunque, le anime dei fratelli che ci hanno preceduto con il segno della fede e dormono il sonno della pace. Già beate perché hanno ormai capito quanto grande è la misura dell'amore che ha accompagnato tutta la loro vita e a cui non sono riuscite a rimanere sempre fedeli: ora lo contemplano ancora da lontano, ma nella speranza di entrare anch'esse nella pienezza della visione, nella pienezza della gioia. Nella speranza: questa la parola chiave su cui si fonda la beatitudine delle anime del Purgatorio, beatitudine che coesiste con il cammino di purificazione che ancora devono compiere, e per il quale chiedono supplici la nostra collaborazione. Ancora faticano, non possono ancora riposare nella pace perfetta... ma nella speranza già godono di ciò che le attende. Ma a noi tutto questo cosa insegna? Una prima cosa fondamentale è l'assoluta importanza di accompagnare il cammino di questi nostri fratelli, che per sé non possono ormai fare più nulla e attendono da noi la carità di un ricordo: è quanto facciamo nella giornata di oggi, in cui tutta la Chiesa militante si unisce ad implorare il Padre di concedere ai nostri fratelli defunti di condividere il trionfo di Gesù sulla morte. Imploriamolo con la preghiera, ma imploriamolo - oggi, domani, sempre... - con tutta la vita. Il Magistero della Chiesa ci insegna come farlo nella dottrina sulle indulgenze: compiendo con amore i nostri doveri e sopportando con fede, in unione a Gesù, le avversità della vita; mettendo con misericordia a disposizione dei fratelli che sono nella necessità noi stessi, il nostro tempo, i nostri beni; privandoci spontaneamente, in spirito di penitenza, di ciò chi ci è lecito; testimoniando apertamente la nostra fede quando il nostro quotidiano ce lo richieda. Se la liturgia di oggi ci chiede di fare questo regalo alle anime del Purgatorio, ha però in serbo un regalo grande anche per noi, ed è la possibilità di guardare al mistero della morte attraverso la lente luminosa della speranza, quella preziosa virtù teologale che ci fa in qualche modo trasgredire il reale, per vedere oltre la realtà stessa ciò che è invisibile agli occhi umani. Lo ricorda il Libro della sapienza nella prima lettura: "Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio... Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza resta piena d'immortalità". Gli occhi degli uomini, quando sono puramente umani, quando non sono cioè illuminati dalla grazia, sono occhi stolti, e vedono la morte là dove risplende invece la vita. Dicevo della necessità di andare oltre il reale: di fronte a noi c'è realmente ciò che può essere chiamato "sciagura" o "rovina", cioè la morte in tutta la sua drammaticità, che resta inesorabilmente tale. Ma gli occhi della speranza vedono oltre, e contemplano già la gloria della vita eterna, la bellezza indicibile della Risurrezione, quando "non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate". Ecco, la virtù della speranza anticipa il futuro e vede già passate le cose presenti. Come Giovanni, che già contempla "un cielo nuovo e una terra nuova" e ode la voce di Colui che siede sul trono che lo rassicura: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose... A colui che ha sete io darò gratuitamente da bere alla fonte dell'acqua della vita. Chi sarà vincitore erediterà questi beni; io sarò suo Dio ed egli mi sarà figlio". E' bellissimo che nella visione che Giovanni ci dà della "Gerusalemme nuova", quella che scende "dal cielo", "da Dio", il vincitore sarà l'erede; di più, sarà figlio. La pienezza della vita consisterà dunque nella capacità di recuperare totalmente la nostra libertà di figli di Dio. Così è anche per Paolo: "L'ardente aspettativa della creazione... è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità... nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza" (Rm 8,19-25). Ecco allora che la parola beati non stona più nella liturgia di oggi. Ecco che le tribolazioni del momento presente si colorano di una luce nuova; o meglio, i nostri occhi acquistano la capacità di vedere qualcosa di nuovo... certo, nella speranza, speranza che Francesco d'Assisi chiedeva al Signore certa: "Altissimo, glorioso Dio, / illumina le tenebre de lo core mio. / E damme fede dritta, / speranza certa e caritade perfetta, / senno e cognoscemento, Signore, / che faccia lo tuo santo e verace comandamento". E' il dono di questa speranza certa che ha permesso a Francesco di chiamare anche la morte "sorella", di sentirla amica, benevola: "Laudato si', mi' Signore, per sora nostra Morte corporale..."; e anche Francesco continua: "Beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati". Nella speranza si può essere davvero beati, felici anche davanti al mistero della morte, l'ultimo, più terribile nemico dell'uomo: perché anche la morte sarà annientata, e Dio sarà tutto in tutti. (cf. 1Cor 15,20-28). |