Omelia (11-11-2012) |
mons. Roberto Brunelli |
Due monetine tintinnano nel tempio Il grande tempio di Gerusalemme era strutturato in una serie di cortili via via più esclusivi: al primo potevano accedere anche i pagani; al secondo solo gli israeliti, uomini e donne; al terzo solo gli israeliti maschi; al quarto, disposto intorno al cuore del tempio, il santuario, solo i sacerdoti. Il brano evangelico odierno (Marco 12,38-44) è ambientato nel secondo, detto cortile delle donne, dove si aprivano in una parete le "bocche" per le offerte, che scendevano nella sottostante camera del tesoro mediante condotti metallici; ad ogni moneta introdotta essi risuonavano, e tanto più forte quanto più la moneta era pesante e dunque di maggior valore. Gesù, "seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo". Che fosse una vedova, e povera, si poteva cogliere dal suo abbigliamento; che avesse offerto due monetine, si capiva dal suono provocato, forse appena percettibile. Gesù segnala quel gesto per trarne un insegnamento: "In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere". Ovviamente quello della vedova è un caso estremo. Gesù non intende invitare tutti i suoi discepoli a donare a Dio ogni proprio avere; questa è la vocazione di una minoranza: gli apostoli (abbiamo sentito poche domeniche fa Pietro dichiarare: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto per seguirti"), gli antichi eremiti, i moderni missionari, i frati e le suore; tutti gli altri cristiani hanno la responsabilità di usare quanto possiedono "secondo Dio", ricordando che dei loro beni non sono i padroni ma gli amministratori, chiamati un giorno a rendere conto di come li hanno gestiti. E però l'esempio della vedova vale per tutti, in quanto tutti sono invitati a non riporre le proprie speranze nei beni materiali ma in Dio, seguendo la sua volontà, confidando nella sua provvidenza. In proposito si ricordano oggi tre esempi. E' l'11 novembre, San Martino, che è santo per tante ragioni ma è conosciuto da tutti almeno per aver donato a un povero seminudo metà del proprio mantello. La prima lettura (1Re 17,10-16) narra di una vedova, cui il profeta Elia chiede da bere e da mangiare; è tempo di carestia, e la donna risponde: "Non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po' d'olio nell'orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo". Non può dunque soddisfare la richiesta del profeta; ma questi insiste: preparami una focaccia, le dice, e vedrai, "la farina della giara non si esaurirà e l'orcio dell'olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla terra", cioè finirà la carestia. E così avviene: "Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e il figlio di lei per diversi giorni. La farina non venne meno e l'olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia". Questa donna si può accostare alla vedova del vangelo come esempio di fiducia in Dio, mentre per un altro aspetto ricorda l'episodio dei cinque pani e due pesci, con cui Gesù ha sfamato la folla: quanto si possiede, se condiviso, basta per tutti. La fame del terzo mondo non ci sarebbe, se altri popoli confidassero più in Dio che nelle proprie ricchezze. Ma l'esempio più grande di fiducia in Dio e della fecondità del donarsi è richiamato oggi dalla seconda lettura (Ebrei 9,24-28). Gesù ha donato tutto se stesso, sino alla croce. "Padre, nelle tue mani affido il mio spirito", ha detto prima di morire: e il Padre ha dimostrato con la risurrezione di accogliere il dono, traendone la salvezza per tutta l'umanità. |