Omelia (11-11-2012) |
mons. Gianfranco Poma |
Guardatevi dagli scribi GUARDATEVI DAGLI SCRIBI L'anno liturgico volge ormai al termine e la lettura quasi continua del Vangelo di Marco ci ha condotti alla fase finale del ministero di Gesù a Gerusalemme. Tutto ormai è concentrato sull'essenziale, sulla novità del suo messaggio che lo contrappone ai capi del popolo e ai grandi sacerdoti, agli scribi e ai farisei. La novità che egli annuncia non è una teoria, una filosofia, ma è lui stesso, la sua persona, quello che egli vive, fino alla morte e risurrezione, che tocca e rinnova la normale concezione della relazione con Dio e di conseguenza la realizzazione del senso della vita: Dio non è il termine raggiungibile dallo sforzo umano, con l'obbedienza alle leggi e il compimento di riti normati da autorità che non possono che rivestirsi di potere esercitato in nome di Dio, ma è il principio di un amore che si dona gratuitamente e discende nella fragilità umana, che chiede solo di essere accolto, che perdona e che fa nuovo chi si lascia amare. La novità del "lieto annuncio" di Gesù sta nel proclamare che la salvezza non consiste negli sforzi (impossibili) compiuti dall'uomo per salire verso Dio, ma nell'accogliere l'imprevedibile meraviglia di Dio che discende nella carne dell'uomo per farne il proprio figlio. E questa novità Gesù può proclamarla perché lui stesso è il Figlio nel quale l'infinita vita del Padre è discesa nella carne dell'uomo (Mc.1,9-11). Tutte le categorie delle autorità giudaiche hanno capito la "novità" del messaggio di Gesù e lo hanno avversato, sino alla decisione di condannarlo a morte. Egli stesso, con la triplice predizione della passione, è pienamente consapevole dell'esito a cui lo condurrà la sua novità dirompente: la croce, manifestazione della piena libertà della sua adesione filiale alla volontà misteriosa del Padre che con l' umiliazione del Figlio mostra fino a che punto Dio sia l'Amore che discende per condividere tutto ciò che è umano e solo attraverso l'Amore, salvarlo. Il problema essenziale è chi è Dio e chi è Gesù che rinnova radicalmente la relazione con Dio. Non per nulla, il piccolo brano che precede la lettura della domenica XXXII del tempo ordinario (Mc12,38-44) riguarda l'identità sconvolgente del messianismo di Gesù. Sarebbe insufficiente ridurre questo brano ad una forte condanna morale del comportamento degli scribi dimenticando la questione essenziale che interessa a Gesù: l'annuncio dell'amore gratuito di Dio per l'uomo nella sua fra fragilità. "Guardatevi dagli scribi": comincia così l'ultimo insegnamento di Gesù rivolto ai Giudei, il primo con cui non si rivolge agli scribi ma parla della loro condotta. Gli scribi sono gli specialisti nella scienza dell'interpretazione della Legge che norma le relazioni del popolo con Dio. Il monologo di Gesù è un severo richiamo a mettersi in guardia dall'insegnamento di questi specialisti, notoriamente suoi avversari: mette a nudo quello che essi "vogliono" veramente. Ai professionisti delle cose di Dio, suoi contemporanei, Gesù rivolge tre rimproveri. Il primo è il loro desiderio di "presenza": "vogliono camminare in lunghe vesti" per non essere confusi con le persone normali; "vogliono saluti nelle piazze e i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti" perché vogliono che la loro superiorità sia riconosciuta da tutti. Ai suoi discepoli Gesù aveva insegnato: "chi vuole essere il primo sia l'ultimo e il servo di tutti" (Mc.9,35); "i capi delle nazioni esercitano il potere...Tra voi chi vuole essere grande si farà vostro servo..." (Mc.10,42). Il secondo rimprovero è terribile: "divorano le case delle vedove". "Divorano" sottolinea l'avidità con cui questi esperti delle cose di Dio si impossessano dei pochi beni delle persone particolarmente indifese. Il libro del Deuteronomio richiama con insistenza il popolo di Dio a farsi carico degli orfani e delle vedove, categorie esposte a cadere nella povertà perché prive di protezione. Gesù evidenzia il torto fatto a povere donne in situazioni tanto fragili da coloro che ritengono di avere il monopolio nelle cose di Dio. Probabilmente ciò a cui pensa Gesù non è l'arricchimento personale da parte degli scribi, ma piuttosto la facile strumentalizzazione di persone indifese perché acconsentano ad "offrire" i loro beni per abbellire il Tempio, perché appaia meglio la "casa di Dio". Il terzo rimprovero: "pregano a lungo, per apparire". Pregano a lungo perché pensano di riuscire a convincere Dio e ancora di più perché essendo i garanti del sistema religioso, praticandolo in modo pubblico, ottengono la visibilità che giustifica la posizione che ritengono loro. In realtà, quello che essi fanno è funzionale al sistema di cui sono i maestri ma che per Gesù è lo stravolgimento della relazione autentica con Dio: Dio non ha bisogno della visibilità ottenuta attraverso vesti o atteggiamenti esibiti solo per attirare l'attenzione delle persone normali; Dio non vuole un tempio o apparati religiosi che comportano la consumazione dei beni dei poveri; Dio non vuole "la preghiera dei pagani" che cerca di attirare l'attenzione di un Dio distratto ma la preghiera che nasce dal cuore di figli che confidano nell'amore del Padre che già conosce ciò di cui essi hanno bisogno. In realtà, Gesù sta contestando "l'economia religiosa del Tempio" in cui si trova e del quale tra poco dirà: "Non resterà pietra su pietra" (Mc.13,2) in nome di una relazione nuova con un Dio Padre che ama i propri figli ai quali chiede soltanto la risposta libera di un cuore che si lasci amare, relazione che lui sta vivendo in ogni attimo della propria esistenza, rendendo vana "l'economia religiosa del Tempio" in attesa di un Tempio nuovo. L'episodio della vedova e della sua offerta è posto qui da Marco perché sintetizza in modo plastico la novità del messaggio che Gesù sta dando ai suoi discepoli nel Tempio: la novità consiste nel capire la relazione con Dio, nel Tempio nuovo. Per sette volte, in pochi versetti ritorna il verbo "gettare" nel tesoro: è evidente l'interesse di Marco per questo gesto. Dopo aver descritto la folla che getta monete nel tesoro, dice che molti gettano molte monete, ma, nella moltitudine, vede la venuta di una vedova, povera, che getta una piccolissima moneta. "Convocando i suoi discepoli Gesù dice: In verità vi dico: questa vedova, povera, ha gettato più di ‘tutti coloro che gettano' nel tesoro". "Convocando i suoi discepoli": Gesù continua a formare i suoi discepoli e a loro rivela il senso diverso che un gesto può avere. La solennità con cui Gesù parla sottolinea l'importanza di ciò che sta dicendo: ci sono coloro che fanno per abitudine un gesto, ma c'è una persona, povera, che in quel gesto impegna tutta se stessa. "Tutti hanno gettato del loro superfluo, ma lei, dalla sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva: ha gettato tutta la sua vita". Gesù vede questa donna povera: non c'è bisogno di vesti splendenti per essere visti da Dio, perché egli ama i poveri; e questa donna povera non è rimasta attaccata alle poche cose che aveva. Non ha gettato il superfluo mantenendo per se stessa la propria ricchezza: ha gettato tutta la sua vita nel tesoro. Questa donna, vedova, povera, fa l'opposto di ciò che fanno gli scribi, non divora il bene dei poveri, è "divorata": il verbo "gettare" è quello usato da Mc.12,8 per descrivere il figlio ucciso dai vignaioli e gettato fuori dalla vigna. La povera vedova è l'icona di Gesù che getta tutta la sua vita nel Tesoro. Eppure...Gesù non dice una parola di elogio per questa povera vedova: ella ha gettato tutta la sua vita nel tesoro, non ha trattenuto nulla per sé. Sicuramente il suo comportamento è gradito a Dio, a differenza di quello degli scribi che "riceveranno una condanna più grave", ma è ancora in cammino: il tesoro nel quale ha gettato tutta la sua vita è ancora quello del vecchio tempio, quello degli scribi. Occorre camminare ancora con lui per gettare tutta la vita nel Tesoro, che è l'Amore del Padre, per sperimentare che chi getta la propria vita in questo Tesoro, non si impoverisce ma ne trova uno più grande. |