Omelia (11-11-2012) |
don Alberto Brignoli |
Una ricca e sconvolgente povertà Le letture di oggi rappresentano per il credente la narrazione di uno stravolgimento nell'ordine delle cose che riguardano Dio. In mezzo al grigiore di una fede morta e di una mentalità che concepisce Dio come un giudice retribuitore che elargisce doni all'uomo a seconda della sua "pietà", ossia della quantità di sacrifici e di offerte che da lui riceve, due vedove, quella libanese della prima lettura e quella ebraica del vangelo, rappresentano due autentiche pennellate di colore che ridanno il gusto del ritorno ad una fede autentica e genuina, fatta di gesti di totale abbandono in Dio più che di eclatanti e spesso sfacciate ostentazioni di fede, opulenta ma insieme priva di vita. Due vedove stravolgono il modo ebraico di concepire la fede in Dio per riportarci a una fede autentica. Perché è così "sconvolgente" la modalità di vivere la fede da parte di queste due vedove? Per comprendere fino in fondo i loro gesti di generosità, apprezzati e lodati dal profeta Elia l'uno e dallo stesso Gesù l'altro, è necessario ricordare che l'idea che il popolo d'Israele aveva riguardo al possesso dei beni e all'elemosina era strettamente legata al concetto di "retribuzione divina", ovvero quel concetto per cui i beni materiali, le ricchezze che una persona possiede, sono il segno della benedizione di Dio, che si è degnato di "benedire" nel senso di "retribuire" la bontà di quella persona attraverso l'elargizione di molti beni. A sua volta, il ricco - tale perché retribuito da Dio per la sua santità - ha il dovere di mostrare a Dio e agli uomini il sussistere della sua pietà attraverso una serie di elemosine e di sacrifici tanto più preziosi quanto più materialmente significativi. Da ciò, ne conseguiva per pura deduzione che il povero (espresso attraverso tutte le sue categorie, in modo particolare il disabile, l'orfano e la vedova) era tale perché maledetto da Dio a causa dei suoi peccati (pensiamo alla vicenda del cieco nato del Vangelo di Giovanni, o nell'Antico Testamento alla vicenda di Giobbe), e la sua situazione di peccato e di lontananza da Dio continuava a sussistere e ad essere manifesta agli occhi di Dio e degli uomini attraverso l'incapacità ad essere generoso e ad elargire abbondanti elemosine e sacrifici (...un po' ovvio, diremmo noi oggi, dal momento che non possedeva nulla...). In verità, nella Bibbia è quasi impossibile incontrare testi che rafforzino o giustifichino quest'atteggiamento, poiché Dio sempre è presentato come difensore del povero, dell'orfano e della vedova: si trattava però di una mentalità e di un comportamento molto diffusi nella società ebraica di allora, contro la quale Gesù spesso si scaglia richiamando ad una fede autentica fatta di gesti di misericordia più che di sacrifici e offerte, e prendendo di mira i capi del popolo, i farisei e i dottori della legge, principali sostenitori di questo falso atteggiamento di fede. Oggi Gesù concretizza questo suo richiamo additando ad esempio di fede una povera ed anonima vedova che entra nel tempio per fare la sua offerta, umilissima e quasi insignificante, a dispetto di quei ricchi che nel tesoro del tempio gettavano moltissime monete. Qui sta lo stravolgimento del concetto di fede che diviene segno dei tempi nuovi e della vita nuova che Cristo è venuto ad annunciare: non più una fede fatta di elemosine e sacrifici in virtù di ciò che si ha, ma una fede che è autentica in virtù del dono di ciò che si è. Dio non pretende da noi molte cose, quantitativamente significative ma prive di verità e di senso; si accontenta del nulla che abbiamo e che siamo, nella misura in cui ciò è dono totale di noi stessi ed abbandono fiducioso nelle sue mani. E questo concetto si presta molto bene a una rilettura in chiave missionaria della Liturgia della Parola di quest'oggi. Siamo abituati a pensare alla missione come alla partenza di missionari (preti, religiosi e religiose, laici) da paesi ricchi di tradizione religiosa ma anche di risorse economiche verso altri paesi, in genere del Sud del mondo, ritenuti poveri spiritualmente e materialmente, e quindi incapaci di offrire ad altri qualsiasi cosa. Allora, questi paesi "poveri" continueranno a essere da noi considerati "inferiori", sottosviluppati, immaturi, arretrati...e andando alla ricerca delle cause della loro povertà, giungeremo sempre alla solita conclusione: sono così perché sono ignoranti e sfortunati, ovvero non dotati di tutte quelle qualità di cui invece noi, paesi ricchi e progrediti, siamo provvisti. Un ragionamento non molto differente da quello del pio ebreo del tempo di Gesù, che leggendo in chiave teologica questo fenomeno arrivava appunto a definire il ricco "benedetto da Dio" e il povero "da lui disprezzato". Ma lo sconvolgente atteggiamento delle due vedove, che nonostante la loro miseria offrono agli altri il nulla che hanno, è un anticipo, una sorta di rimando a quanto si sta verificando oggi nel mondo e nella Chiesa. Questi paesi che sempre abbiamo ritenuto poveri di tutto, dalla loro povertà hanno appreso la dote dell'apertura e della condivisione, e si stanno rivelando in alcuni casi (si pensi ai cosiddetti paesi "BRICS", dei quali fanno parte Brasile, India e Cina) i nuovi motori dell'economia mondiale in questo periodo di crisi globale; in altri casi, quei paesi che sempre sono stati oggetto della nostra attenzione pastorale con l'invio di personale apostolico, ora stanno supplendo alla carenza di sacerdoti e di vocazioni religiose nei paesi di antica tradizione cristiana. Basti pensare che i sacerdoti non italiani presenti nelle parrocchie italiane hanno ormai raggiunto le 850 unità, a fronte dei 500 sacerdoti italiani presenti in missione. Per non parlare delle offerte raccolte per la Giornata Missionaria Mondiale, che lo scorso anno (in piena crisi) hanno subìto un incremento in ben pochi paesi, e tra essi va menzionato il Burkina Faso... concreti esempi di cosa significhi saper donare a partire dalla propria povertà. È quanto sapevano fare i nostri anziani, molto più generosi e solidali di noi nonostante vivessero in situazioni non certo agiate rispetto a quelle in cui oggi noi viviamo. Speriamo che questo momento di situazione critica a livello economico e sociale possa rappresentare un'occasione per riflettere su come l'indigenza non sia una disfatta, ma diventi un'opportunità di reciproco arricchimento nella misura in cui si fa condivisione, apertura all'altro, fraternità: tutte dimensioni tipiche della missione e di chi la vive in prima persona. Fu così per due vedove della Bibbia; chiediamo a Dio che possa essere così anche per la nostra impoverita, affaticata, spesso vecchia e rugosa, ma sempre amata Chiesa di antica tradizione. |