Omelia (11-11-2012) |
mons. Antonio Riboldi |
La carità verso i poveri deve essere generosità Il Vangelo è veramente la Buona Novella che sconvolge tutte le regole e i comportamenti, che sono sempre stati la linea da troppi ritenuta necessaria, per stare a galla nel nostro mondo. La carità, che il Vangelo pone alla base di ogni scelta, è invece la capacità di guardare verso chi ci è vicino e soffre, per la malattia, per ogni tipo di sofferenza, o per non avere, a volte, il necessario per vivere. Di queste situazioni, anche se spesso sfuggono alla superficialità del nostro sguardo, abbonda ormai anche la nostra Italia. Arroccati sulla nostra sicurezza, facciamo fatica a guardare oltre il nostro benessere e così non riusciamo più - o, peggio, non vogliamo - vedere chi ci sta vicino e forse sta male. È incredibile che questo possa accadere, ma avviene. Ma come possiamo rafforzare la nostra fede o testimoniare la nostra carità, se non sappiamo neppure vedere le povertà? Nel Vangelo, che la Chiesa ci offre oggi, c'è veramente la fotografia della nostra società e, se vogliamo, l'invito ad un esame di coscienza su qual è il nostro personale atteggiamento verso chi ci è vicino e non ha di che vivere. Il Vangelo ci dà una stupenda lezione... "In quel tempo, Gesù (nel tempio) diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere»". (Mc 12,38-44) Colpisce l'atteggiamento di Gesù, che osserva chi, andando al tempio, fa laute offerte. Ma è proprio dall'offerta donata che Gesù indica il comportamento giusto. Un giorno, dopo l'omelia, in cui avevo proprio parlato della carità, partendo dal Vangelo di oggi, in sacrestia mi raggiunse una signora, dalla presenza fragile e molto sobria. Si accostò e mi affidò un gruzzolo. Mi disse: 'Accetti questo, Padre. Sono i miei risparmi, ma mentre io questo poco che ho, altri non hanno nulla. Li dia a chi è più povero..., io mi aggiusterò'. Cercai di dissuaderla, ma non ci fu nulla da fare. Era felice della decisione presa e così di essere in pace con Dio. Incredibile quella testimonianza, tanto simile all'immagine della vedova del Vangelo, che Gesù loda. Quel giorno avrà lodato anche colei che mi aveva dato i suoi risparmi per i più poveri. Nel Vangelo di oggi Gesù, impietosamente, ma necessariamente, come fa il medico quando prende in cura un ammalato e lo vuole guarire, mette a nudo ciò che non è la verità dell'amore, quella cioè degli scribi, che 'amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere'. Per Gesù la vera carità dimentica anche la propria sicurezza, per supplire il vuoto di tanti. Del resto Gesù, Figlio del Padre, pur essendo Dio egli stesso, si è vestito concretamente della nostra miseria, vivendo la sua giovinezza nella dignitosa povertà di Nazareth, facendo dono della Sua Parola con i discepoli ovunque, in un continuo cammino, senza 'né pane, né bisaccia, né un tetto dove riposare', Non si è garantito nessuna sicurezza materiale: dormiva dove capitava, mangiava quando glielo permettevano o glielo offrivano e alla fine, per salvarci dalla nostra immensa miseria di peccatori, tagliati fuori dal Regno del Padre, ha dato veramente tutto, la sua stessa vita nell'umiliante crocifissione. La sua vita è così diventata la testimonianza di come deve essere la nostra, pellegrini sulla terra: mai schiavi del benessere, ma sempre con il cuore che benedice Dio e gli occhi puntati su chi non ha, per amarli e, soprattutto, nell'amore ai fratelli rendere vero ed attivo il nostro amore al Signore, convinti che 'qualunque cosa farete ad uno solo di questi piccoli l'avete fatto a Me'. Ai suoi discepoli che un giorno discutevano su chi avrebbe avuto i primi posti nel Suo Regno, Gesù ha risposto: 'Chi di voi è primo si faccia servo di tutti. Il Figlio dell'uomo, infatti, è venuto sulla terra non per essere servito, ma per servire'. Il grande S. Agostino, consacrato vescovo, così interpretava le parole di Gesù: 'Da quando mi sono posto sulle spalle questo peso di cui dovrò rendere conto a Dio, sempre sono tormentato dalla preoccupazione per la mia dignità. La cosa più terribile nell'esercizio di questo incarico è il pericolo di preferire l'onore proprio alla salvezza altrui. Però se da una parte mi spiace ciò che sono per voi, dall'altra parte mi consola il fatto che sono per voi. Per voi infatti sono vescovo, con voi sono cristiano'. E aggiungeva: 'Aiutateci con la vostra preghiera e la vostra obbedienza, perché troviamo la nostra gioia non nell'essere vostri capi, quanto nell'esservi utili servitori'. I Santi davvero sono la giusta immagine di quello che dovremmo essere tutti noi. Ricordiamoci sempre che l'egoismo, ossia la nostra attenzione rivolta solo su noi stessi e le nostre necessità - fossero anche più che legittime - è un pericoloso impedimento, che ci rende ciechi e sordi di fronte alle povertà e sofferenze, non solo dei lontani, ma anche di coloro che ci sono vicini. La vera carità è invece saper vedere - anche oltre le spesse dignitose apparenze - chi è in difficoltà, è sapersi fare carico delle sue fatiche, è risvegliare in noi il senso della solidarietà e la capacità di donarsi: 'Quello che fate ad uno di questi piccoli, l'avete fatto a Me'... non dimentichiamolo mai! Incontrai una volta, all'aeroporto di Roma il carissimo don Tonino Bello, che penso tutti conoscerete per la sua vita, che è stata davvero un dono, fino alla fine, per i suoi amati fratelli, soprattutto se deboli o sofferenti. Doveva tornare in parrocchia, ma non aveva soldi per pagare il biglietto. Nessuno lo ascoltava. Mi feci vicino e fui subito colpito da questo sacerdote, dal suo atteggiamento serio, ma profondamente buono. Gli pagai il biglietto e diventammo amici. Da vescovo fui ospitato nel suo episcopio ed ebbi conferma della prima impressione ricevuta, constatando la sua attenzione e, diciamo pure, preferenza verso i poveri. Oggi tutti conosciamo la sua grandezza d'animo ed è divenuto per tanti, come lo fu per me, un maestro di vita, un testimone di santità nella carità. Sono tanti, per il mondo, i cristiani veri che, come lui, operano seguendo i passi di Cristo, nella via della povertà e della carità, senza fare rumore. Il beato Rosmini, fondatore dell'Istituto a cui appartengo, affermava che la povertà è il muro di sostegno della Chiesa. Ed è così oggi e lo sarà sempre. Sono i poveri in spirito, secondo il Vangelo, che sanno dare tutto di sé, facendo splendere la Chiesa di Gesù, povero, ma ricco di amore. Ricordo che un giovane medico, mio grande amico, un giorno, agli inizi del mio episcopato, vedendo la scala del vescovado sempre affollata di gente, che veniva a chiedere aiuto o la soluzione a qualche problema, mi disse: 'Quella processione di poveri è la più grande ed efficace predica che lei possa fare. Le auguro che sia sempre così. È un richiamo di cui abbiamo bisogno'. Non resta che pregare Dio, perché torni nella Sua Chiesa e nella vita di ogni suo discepolo, quella povertà evangelica che ne è il fondamento e la più efficace testimonianza. |