Omelia (18-11-2012)
Omelie.org (bambini)


Il Signore è vicino, è alle porte
Avete mai provato cosa significa attendere qualcosa di bello? Qualcosa di meraviglioso?
Attendere qualcosa di speciale a cui tenete davvero tanto?
Beh, vi sarete accorti che il tempo non passa mai. L'attesa appare lunga perché il desiderio che si realizzi quell'incontro, quell'evento, è così forte che vorremmo che i giorni della settimana diventassero brevi, e poi si allungassero quando siamo nella gioia.
Oggi Gesù dice che è vicino, che sta arrivando, che è alla porta.
A quale porta?
Alla porta degli amici, di coloro che gli vogliono davvero bene. Nessuno va a casa di uno sconosciuto, se non per sbaglio o per motivi di lavoro.
Si va a casa solo di chi si conosce, di qualcuno a cui vogliamo bene.
Il messaggio di Gesù è "Buona Notizia", bella e gioiosa notizia. La sua parola è vita, è luce, è gioia. Non è mai una parola di paura, ma solo di speranza, di belle opportunità per tutti gli uomini.
Il brano di oggi appare un po' misterioso, perché il linguaggio che Gesù usa è quello apocalittico.
Il termine Apokalypto, in greco, significa rivelare, oppure, ed è il significato per noi più importante, svelare un qualcosa che è nascosto. Possiamo dire che questo è un linguaggio tipico dei profeti, che svelano Dio al popolo, raccontano la sua Parola, la sua salvezza.
Quando Marco scrive il suo vangelo, Gesù è morto da alcuni anni. Il brano di oggi comincia così: "dopo la grande tribolazione". Di quale tribolazione si tratta?
Per i primi cristiani, la "grande tribolazione" è la persecuzione. Persecuzioni che si sono succedute negli anni successivi alla resurrezione di Gesù.
Davvero i primi cristiani sono messi alla prova! Perseguitati, condannati e uccisi proprio per la loro fede. Se avete avuto modo di visitare Roma, avrete visto il Colosseo che era il luogo dove i cristiani venivano martirizzati. I più fortunati di voi, forse, hanno anche visitato le catacombe, luoghi nascosti nei quali i cristiani si formavano nella fede e celebravano l'eucarestia.
Oggi noi, nella nostra nazione, abbiamo la fortuna di poter esprimere liberamente la nostre fede. Ma a volte capita che ci vergogniamo di mostrarla.
A volte, la fede diventa un po' come un abito che mettiamo quando varchiamo la porta della chiesa e poi togliamo in fretta all'uscita, proprio come qualcosa che non ci riguarda più. Che non serve nella vita quotidiana.
Avere fede, significa fidarsi e affidarsi a Qualcuno che ci conosce per nome che ci ama più di quanto ci amano i nostri genitori, amici e persone care.
Credere, afferma Benedetto XVI, è incontro "un vero incontro con Dio in Gesù Cristo, è amarlo, dare fiducia a Lui, così che tutta la nostra vita ne sia coinvolta".
Solo così c'è il desiderio dell'attesa che il suo regno si realizzi, l'attesa di contemplarlo e di incontrarlo proprio come quando ci si incontra tra amici e si fa festa.
Quando celebriamo la messa, per ben due volte diciamo questo desiderio di incontrare il Signore: nella formula del credo e dopo la preghiera Eucaristica, quando il sacerdote invoca lo Spirito santo affinché i doni offerti dagli uomini siano consacrati, cioè diventino Corpo e Sangue di Gesù.
A questo mistero di fede noi rispondiamo: "Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell'attesa della tua venuta". Questa formula è detta con verbi al presente, perché è durante l'Eucarestia, la messa, che questi misteri di amore si realizzano per noi.
Il Signore viene! Noi ci nutriamo di Lui nella comunione per diventare come lui nella vita quotidiana.
"Ho avuto fame e mi hai dato da mangiare, ho avuto sete e mi hai dato da bere, ero forestiero e mi hai accolto, malato e sei venuto a visitarmi, carcerato e sei venuto a trovarmi" (Mt 25,35-36).
Vivere nell'attesa della venuta di Gesù, significa impegnarci ad accoglierlo oggi in tutti le persone che ci chiedono tempo e aiuto.
Buona domenica
Commento a cura di Sr. Piera Cori