Omelia (18-11-2012) |
Gaetano Salvati |
Commento su Marco 13,24-32 Il vangelo di oggi ci riconsegna una delle più grandi verità della fede cristiana: il Signore "è vicino, è alle porte" (Mc 13,29). È questa una parola con la quale la Chiesa annuncia al mondo che, in Cristo, non esiste la fine del mondo, intesa come annientamento della storia; sussiste invece, il momento ("l'estate", v.28) in cui si raccoglieranno e si discerneranno i frutti sparsi per il mondo. La modalità in cui verrà concretizzata la realtà descritta da san Marco (vv.24-25) non la conosciamo; non sappiamo neppure quando essa accadrà (è conosciuta solo dal Padre, v.32). Ciò che interessa a noi, ciò che è narrato nel vangelo, è l'urgenza di aderire alla rivelazione del Figlio, all'opera di salvezza per noi. Quindi, oltre ogni catastrofismo, Gesù pone dinnanzi al nostro pellegrinaggio nel mondo la possibilità di riconoscere il Suo Amore nelle gioie e negli affanni. Tale possibilità è resa effettiva la mattina di pasqua: la risurrezione di Cristo, infatti, dice all'uomo che ogni attimo (il nostro tempo) è quello giusto per convertire il nostro cuore a Lui. Ora, è comprensibile la vicinanza del Salvatore: Egli vuole essere accolto, desidera dimorare in noi; ancora, vuole sconvolgere il nostro spirito (non distruggerlo). Una simile speranza (la Sua prossimità che salva) rivela la perenne tensione, la ragionevole difficoltà ad incontrare l'Altro, fra il già, compiuto da Cristo Signore il Venerdì Santo, e il non ancora da realizzarsi (il Suo ritorno). La nostra fede, perché non si addormenti nell'attesa o non rimanga prigioniera della storia, nelle domande che non trovano risposte di senso, deve scardinare le resistenze naturali all'avvento di Dio, e individuare nei sentieri interrotti del patire umano la bellezza di un Dio che, nel sacrificio del Figlio, ha ridato all'uomo la sua originale bellezza. Certamente, quanto detto non è semplice da attuare. Per questo motivo, nel tempo che intercorre l'incarnazione del Figlio e la promessa ultima del Suo ritorno, stà la necessità del credente di unirsi sempre di più a Lui, fino all'incontro decisivo con Dio. Il Salvatore ci indica il cammino per non staccarci dalla vera vita e vivere con gioia l'inevitabile appuntamento con Lui. Egli invita il discepolo ad interpretare la parabola non detta del fico (v.28) come frammento indispensabile della storia di salvezza. Il fico è l'esistenza, aperta all'iniziativa di Dio. Ognuno è chiamato a divenire profeta di un'estate (di un'incontro) prossima a compiersi, lasciando che i rami della vita, i gesti, i pensieri, le parole, si facciano più morbidi, perché dal loro tronco nascano le foglie di una fede alimentata dalla linfa divina, e di una carità delicata, attenta ai bisogni dei fratelli. Agli uomini che accettano la Sua luce, la Sua vicinanza, è data la grazia di essere creature nuove, trasformate nel Suo sangue, e testimoni del regno di Dio. La testimonianza del regno manifesta al mondo che il Signore non distrugge la libertà ˗ nel vangelo non si parla mai di umiliazione, annullamento dell'uomo - ma è la Persona che offre la pienezza della vita nel Suo nome, sulla terra e nella gloria eterna. L'essere trasformati, infine, ci fa divenire discepoli (annunciatori) del Maestro, Colui che adesso, se lo vogliamo, viene a liberare il nostro presente dalla morte e dall'oblio del peccato. Amen. |