Omelia (25-11-2012) |
mons. Roberto Brunelli |
Re di giustizia e di pace, Re della verità Tra le opere principali di quel gigante del pensiero che fu Sant'Agostino si colloca senz'altro "La città di Dio", nella quale egli espone la sua visione della storia. Protagonista, dice, ne è l'uomo, che di fronte alla realtà in cui è immerso assume liberamente l'uno o l'altro di due atteggiamenti opposti: l'amore di sé, o l'amore di Dio. Questi due poli determinano la divisione dell'umanità in due schiere (mai fissate definitivamente, in questo mondo, perché i singoli passano spesso dall'una all'altra), che compongono come due diverse città, due regni. Chi sceglie l'amore di sé si associa ai suoi simili per quanto ne può ricavare a proprio vantaggio, senza badare a ciò che è giusto e buono; memorabile, in proposito, l'affermazione di Agostino secondo la quale, senza giustizia, "i regni non sono che bande di ladri" (come non pensare a chi evade le imposte, o ai politici anche di recente arrestati per come hanno usato il danaro pubblico?). Chi invece sceglie l'amore di Dio appartiene al regno da lui fondato, basato sulle sue leggi e perciò promotore di giustizia e di pace. Di questo regno "sovranazionale" (non ha confini territoriali, né di razza o condizione sociale), invisibile perché non si manifesta in strutture organizzate dall'uomo ma alberga nella mente e nel cuore di chi vi aderisce, oggi si celebra il Re. E' l'ultima domenica dell'anno liturgico, che come sempre prospetta al credente l'orizzonte luminoso della sua vita, la maestosa visione del Cristo in trono: maestosa ma amabile, perché offre la possibilità di sederglisi accanto. E' la visione già prefigurata nell'Antico Testamento (prima lettura; Daniele 7,13-14): "Ecco venire con le nubi del cielo uno, simile a un figlio d'uomo. A lui furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto". Anche la seconda lettura (Apocalisse 1,5-8) lo presenta nella sua gloria, precisando chi fa parte del suo regno, e perché egli ne è a capo: di quel regno basato sull'amore egli è il Re, perché ha amato più di tutti: "Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. Ecco, viene con le nubi e ognuno lo vedrà; anche quelli che lo trafissero e tutte le nazioni della terra si batteranno per lui il petto. Sì, Amen! Io sono l'Alfa e l'Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente!". A prima vista, il vangelo (Giovanni 18,33-37) contrasta con queste visioni solenni, perché presenta il Re non nella sua gloria ma al contrario nel momento della sua umiliazione, e precisamente durante il processo subito davanti a Pilato, che poco dopo lo condannerà a morte. La scena sembra concentrare nelle due figure di Cristo e di Pilato le due città di Agostino: nell'innocente che si sacrifica per amore dell'umanità è l'espressione più alta della città di Dio, mentre "l'altra" città è adeguatamente espressa dal governatore romano, un uomo - dice la storia - violento e venale, un rappresentante di quel potere che per mantenersi non esita a calpestare la giustizia e la verità (Gesù era innocente, e Ponzio Pilato lo sapeva bene; ma "gli conveniva" compiacere chi lo voleva morto). La verità! Più che la regalità, sembra questo il tema del dialogo tra i due; affermare davanti a tutti la verità riguardo a Dio e all'uomo, ecco il motivo per cui il Figlio di Dio si è fatto uomo. "Dunque tu sei re?" gli chiede Pilato, e Gesù risponde: "Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". |