Omelia (02-12-2012)
padre Gian Franco Scarpitta
Avvento: solo il tempo di quattro settimane?

Il linguaggio è severo e apocalittico, tipico di un vecchio stile superato dell'Antico Testamento, ma al di la' delle immagini catastrofiche e sconvolgenti, che come più volte si è detto non vanno considerate letteralmente e con troppa facilità letteraria, si parla oggi di un avveniristico tempo di gioia e di salvezza che incute fiducia e speranza piuttosto che paura. L'evento a cui si riferisce il brano evangelico, che muove in sintonia con la prima Lettura dal libro di Geremia, si riferiscono ad un futuro immediato che riguarda la fine delle persecuzioni a cui è costretto il popolo d'Israele con l'avvento della liberazione e anche ad un futuro indefinito nel quale ci aspettano "cieli e terra nuova in cui regnerà per sempre la giustizia" (2Pt 3, 13), cioè l'epilogo della nostra storia e il ritorno glorioso di Cristo che verrà come giudice e salvatore definitivo. Poiché racchiude una promessa, l'attesa è quindi foriera di speranza e suscita interesse, attenzione e piacevolezza, un senso di benessere interiore che anticipa il compimento di quanto stiamo aspettando. Tali attesa e futuro che abbiamo appena descritto caratterizzano l'avvento. Si tratta infatti di un'attesa gioiosa di qualcosa di piacevole che sta per accadere, sia nel futuro prossimo immediato, sia nel futuro lontano anteriore e comporta una predisposizione e un incontro.
Nell'antichità precristiana il termine "avvento" (adventus) significava la venuta di un Imperatore e la preparazione del popolo alla sua accoglienza, come pure l'arrivo di una divinità pagana che veniva accolta e celebrata nel culto.
Il cristianesimo adottò il termine "avvento" per applicarlo alla venuta di Cristo, tuttavia non subito nel senso liturgico che precede il Natale: si intendeva affermare con questa parola che Cristo Signore è "Colui che viene", che entra nella nostra vita, si rende presente e attivo, partecipa delle nostre ansie e dei nostri problemi per cui l'uomo non è mai solo né abbandonato a se stesso. Cristo infatti "viene" in tutti i momenti per risollevarci nella paura e nell' angoscia, per rincuorarci nelle occasioni di sfiducia e di abbandono, per calmarci in quelle di autoesaltazione e per spronarci nelle circostanze di titubanza e di indecisione. Cristo viene sempre a trovarci, anche quando le avversità del momento ce lo mostrano assente e lontano.. Come il popolo d'Israele oppresso e vessato dai nemici gode della presenza comunque certa del Signore che lo sostiene, anche il cristiano è fortificato e reso saldo nella fiducia e nella certezza del Dio che lo accompagna. Ma "avvento" è un termine che segna il nostro rapporto con Cristo anche in quanto passato e in quanto futuro, oltre che come presente: Egli infatti è già venuto nella carne una volta per tutte nel famoso Evento di Betlemme, viene continuamente a visitarci nella vita di tutti i giorni con la sua presenza misteriosa ma certa e attiva e finalmente tornerà (verrà) alla fine dei tempi, quando il tempo presente si consumerà per il Giudizio finale. In tutte queste circostanze si realizza sempre una "venuta" da parte sua e un'"attesa" preparatoria da parte nostra, secondo le parole dell'apostolo Paolo: "Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo." (1 Ts 5, 23). Il senso di questa esortazione è chiaro e riguarda non solamente un solo periodo della nostra esistenza, ma l'intero percorso della nostra vita: mentre Dio "viene" con la sua potenza gratificante che eleva e santifica, da parte nostra occorre che a Lui ci predisponiamo rinnovando integralmente noi stessi nello spirito, nell'anima e nel corpo, il che significa concretamente non concedere indulgenze al peccato, alla lussuria, al vizio e ad ogni sorta di malizia e di cattiveria, ma piuttosto ricercare la comunione con Dio nella preghiera, nella meditazione e nella vita sacramentale, meglio ancora se incoraggiata dalla mortificazione corporale.
Questo è il significato che la Chiesa originariamente ha dato all'"avvento": esso è una prospettiva che riguarda non un solo periodo particolare dell'anno, ma l'intero percorso della nostra vita, poiché la nostra vocazione all'incontro con Colui che è, che era e che viene è una costante del nostro essere cristiani.
A partire dal IV secolo siffatto senso della parola "avvento" è stato applicato al periodo delle quattro settimane che precedono il Natale, perché anche nello specifico delle celebrazioni liturgiche possiamo realizzare il predetto incontro con il Veniente e perché la data del 25 Dicembre non sia una sola ricorrenza imposta dal calendario, ma ad essa ci si predisponga nella predilezione dello spirito.
La trasposizione dell'avvento nel calendario liturgico che precede il Natale non pregiudica tuttavia il fatto che esso resti un imperativo vitale del cristiano. Anzi, è proprio la celebrazione di questo Tempo a rammentarci che l'incontro con Colui che viene è un fattore determinante del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro; quindi le quattro settimane che ci si aprono dinanzi sono speculari di quanto dovrebbe avvenire nella nostra intera esistenza. L'avvento liturgico ci rammenta che in tutta la vita occorre essere "irreprensibili per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo", riconoscendo il Veniente in colui che è Presente e che riscontriamo nella fede.
Ciò impone la fuga dalle vanità della carne e dalle attrattive di questo secolo, l'orientamento costante della volontà verso Dio e la lotta continua contro le immancabili tentazioni del Maligno, quest'ultima comunque sostenuta dalla grazia santificante del Signore. E soprattutto comporta la fuga dalla presunzione, dalla protervia e dall'egoismo perché in noi trionfi l'umiltà che è sinonimo di buona predisposizione al bene e alla giustizia. L'umiltà produce infatti che noi ci abbassiamo perché Dio venga esaltato e riconosciuto come indispensabile riferimento della nostra vita e di conseguenza è matrice della nostra fede; la fede produce la speranza e immancabilmente si traduce nella carità effettiva e operosa verso il prossimo. In termini concreti, l'"avvento" comporta amore esclusivo verso Dio e verso il prossimo, l'esercizio della carità che si evince innanzitutto nei rapporti fra di noi, nella stima e nell'accettazione reciproca in modo che accettiamo le immancabili defezioni gli uni degli altri, ci comprendiamo nelle limitazioni e ci valorizziamo nei pregi e nelle prerogative in negativo. L'ideale di carità insegnato da Cristo è l'amore verso i nemici e la preghiera per quanti ci perseguitano usandoci malanimo e perversione; comporta che si vinca il male non col l'astio e con la vendetta, ma semplicemente rispondendo al male con il bene (Rm 12, 21).
Per quanto possa sembrare inverosimile, è esattamente quanto il Signore vuole espressamente da noi: che non ci accontentiamo della mediocrità pagana ed egoistica per cui l'amore è circoscritto ai soli amici o congiunti mentre è autorizzato l'odio verso gli avversari, ma che ci disponiamo all'eroismo dell'amore verso quanti ci odiano e che rispondiamo alle persecuzioni con atti di amore e di accettazione. Chi si allontana dall'ottica dell'amore verso i nemici si allontana di fatto dalla mentalità cristiana.
L'imperativo che allora sorge in noi spontaneo è che questo tempo che stiamo per intraprendere nelle quattro settimane che seguono da oggi sia espressivo di una costante fiducia nel Signore che possa trasparire nella serenità e nella prodigalità del bene, che possa incuterci e incutere ad altri gioia e sollievo anziché apprensione e angoscia, che possa apportare frutti di rinnovamento interiore e di benessere appagante per tutti. E che possiamo costantemente fare in modo che il Bambino nasca ogni giorno in noi.