Omelia (25-11-2012) |
mons. Vincenzo Paglia |
Commento su Daniele 7,13-14; Salmo 92; Apocalisse 1,5-8; Giovanni 18,33-37 Introduzione Per festeggiare Cristo, re dell'universo, la Chiesa non ci propone il racconto di una teofania splendente. Ma, al contrario, questa scena straziante della passione secondo san Giovanni, in cui Gesù umiliato e in catene compare davanti a Pilato, onnipotente rappresentante di un impero onnipotente. Scena straziante in cui l'accusato senza avvocato è a due giorni dal risuscitare nella gloria, e in cui il potente del momento è a due passi dallo sprofondare nell'oblio. Chi dei due è re? Quale dei due può rivendicare un potere reale (Gv 19,11)? Ancora una volta, secondo il modo di vedere umano, non si poteva che sbagliarsi. Ma poco importa. I giochi sono fatti. Ciò che conta è il dialogo di questi due uomini. Pilato non capisce niente, né dei Giudei, né di Gesù (Gv 18,35), né del senso profondo del dibattito (Gv 18,38). Quanto a Gesù, una sola cosa conta, ed è la verità (Gv 18,37). Durante tutta la sua vita ha servito la verità, ha reso testimonianza alla verità. La verità sul Padre, la verità sulla vita eterna, la verità sulla lotta che l'uomo deve condurre in questo mondo, la verità sulla vita e sulla morte. Tutti campi essenziali, in cui la menzogna e l'errore sono mortali. Ecco cos'è essere re dell'universo: entrare nella verità e renderle testimonianza (Gv 8,44-45). Tutti i discepoli di Gesù sono chiamati a condividere la sua regalità, se "ascoltano la sua voce" (Gv 18,37). È veramente re colui che la verità ha reso libero (Gv 8,32). Omelia Oggi è la festa del Signore che è re dell'universo. Davvero il suo regno non è di questo mondo! Il Vangelo, infatti, ci parla di un uomo debolissimo, spogliato di tutto, povero, la cui vita dipende interamente da altri. Come si può pensare che un uomo in quelle condizioni potesse essere re di qualcosa? Non ha alcun aspetto di potenza. Nel nostro mondo dove quello che conta è ciò che appare, come possiamo affidarci ad un uomo così, che mostra esattamente il contrario della forza? Perfino i passanti possono deriderlo, tanto che gli buttano in faccia il suo fallimento, gridando a lui, condannato a morte: "Salva te stesso!". Noi i forti li cerchiamo, spesso li corteggiamo, facilmente sappiamo tutto di loro (e magari non sappiamo nulla del nostro vicino!) perché pensiamo ci diano protezione, successo, sicurezza, riconoscimento, benessere. Ma uno come Gesù non può certo soddisfarci! Anzi, lo sfuggiamo, perché ci ricorda la nostra debole umanità. Come può lui essere re? Di cosa? Al massimo può suscitare la pietà. Eppure dice a Pilato: "Tu lo dici; io sono re! Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo!". Quell'uomo, sconfitto da tanti piccoli re di arroganza e violenza, da una folla che gli urla in faccia la sentenza, proprio lui reclama di essere re. I re di questo mondo vogliono essere serviti, non servire. Vogliono avere e non donare. Vogliono imporre, parlare sopra gli altri, non stare a sentire nessuno. Vogliono stare bene loro, ma non sanno fare stare bene gli altri. Vogliono avere ragione e non cambiare mai; comandare e non obbedire a nessuno. Mettono le loro condizioni e si irritano se non sono osservate; eliminano chi sentono come un nemico o chi non piace. I re di questo mondo vogliono essere amati ma non si sforzano di umiliarsi a farlo per davvero; sono soli, perché finiscono per avere paura dell'altro. Si circondano di complici e di sudditi, ma non hanno amici. Anche Gesù venne tentato di diventare un re in questo modo. Il male lo voleva legare al potere del consumo, delle cose, del piegare tutto, anche la Parola di Dio, ai propri interessi. "Tutte queste cose ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai", gli aveva detto il diavolo nel deserto. Gesù non è comprato dal denaro; non scende a compromessi. Si rifiuta di servire i regni di questo mondo. "Il mio regno non è di questo mondo", dice a Pilato. Gesù è re perché serve ed ama. Re, perché solo l'amore comanda realmente ed è il vero potere sul creato, l'unico che può capirlo e non sciuparlo. Re perché figlio. Re non sugli altri o contro gli altri, ma insieme e per gli altri. È re perché niente può resistere all'amore. Per questo lui è l'alfa e l'oméga, la prima e l'ultima lettera, come è scritto nel libro dell'Apocalisse. La sua forza, l'unica che conta e che resta della vita, è quella dell'amore. Per questo è il più forte di tutti i forti della terra; per questo è re dell'universo. Chiede anche a noi di confidare nella forza del volere bene, di non svuotarla di sentimenti, di intelligenza, di cuore; chiede di non rinunciare per paura, di non pensare che è troppo poco. Gesù, debole, mite ed umile di cuore, è re perché tutti noi, che siamo deboli e bisognosi, che siamo poca cosa, possiamo vincere con lui il male, il nemico della vita e dell'amore. Anche noi possiamo essere suoi. Il suo regno passa per questo mondo, per i nostri cuori. Chi non appartiene a lui finisce per essere schiavo della logica dei re o della seduzione del potere e della spada. È bello e dolce appartenere a lui, perché nel suo regno di amore tutto è nostro, senza limiti. "Ama e fa ciò che vuoi". Perché il potere dell'amore, come dice il profeta Daniele, dura in eterno, non tramonta mai. I tanti re di questo mondo, finiscono, passano, come la loro forza; si rivelano ignobili, caduchi, volgari, pieni di ossessioni. Il suo regno non finisce. Signore, re dell'universo, vieni presto ad asciugare le lacrime degli uomini, a liberare dal male, dall'odio, dalla violenza, dalla guerra. Venga presto il tuo Regno di pace e di giustizia. Insegnaci ad appartenere a te, a non avere paura, ad essere forti e liberi nell'amore, deboli come siamo, deboli come te, Signore, che sei un re debole che ha vinto il male. A te gloria e potenza, nei secoli dei secoli. |