Omelia (02-12-2012) |
mons. Gianfranco Poma |
Da anni, ormai, il fedele praticante andando alla Messa festiva, viene avvertito che quasi ogni domenica è dedicata ad una intenzione, un problema, una categoria di persone, un avvenimento ritenuto importante per la vita della comunità cristiana, tanto che la purezza lineare dell'anno liturgico scompare dietro gli interessi pure nobili del momento. La conseguenza è che alla forza pedagogica della Liturgia si sovrappone il bisogno di sensibilizzare, di formare, di aiutare... comunque di impegnare la comunità alla concretezza dell'impegno per i bisogni e le urgenze del momento. Forse, è arrivato il momento di ritornare alla essenzialità della Liturgia per riscoprirne la bellezza e il ruolo insostituibile nella formazione della personalità dell'uomo credente e della comunità. Iniziando l'anno liturgico con la prima domenica di Avvento, nonostante la crisi economica che investe la nostra società, le strade si riempiono di luminarie e le vetrine si adornano di attrattive, perché noostante tutto, il Natale consumistico non si spenga. Oggi più che mai alla comunità credente, diventata sociologicamente minoranza, è offerta la possibilità, che diventa responsabilità, di riscoprire la ricchezza di ciò che le è dato di vivere. Che cosa può significare per il mondo globalizzato alla ricerca di nuova organizzazione, governato dalle leggi del mercato e della finanza, nel quale ogni ideologia si è dissolta, ogni certezza e ogni valore etico si è relativizzato, l'inizio dell'anno liturgico? Soltanto la nostalgia di ormai improbabili "Bianchi Natali", in attesa che scenda dal cielo un romantico "dolce palpito di amore"? Soltanto un sussulto di tenerezza che per un attimo riunisce attorno al presepe una famiglia i cui ritmi di vita sono solitamente dettati da impegni urgenti che tendono a relativizzare le relazioni personali? La Liturgia ripropone l'inizio dell'anno liturgico, l' "Avvento": neppure la comunità credente (anzi, proprio perché tale) può esimersi dal porsi la domanda fondamentale del senso di questo inizio, se non vuole ridursi a continuare una tradizione che sopravvive stancamente solo nei suoi aspetti folcloristici. Il Concilio Vaticano II è iniziato proprio con la riforma liturgica auspicandosi che la Chiesa, "vivendo la propria fede, celebrasse il mistero e celebrandolo, lo vivesse": la Liturgia è la memoria viva del mistero. Oggi per noi, tutto comincia da qui: dalla fede in cui crediamo e che celebrando viviamo. Tutto ha senso dalla serietà della nostra fede: "è ormai tempo di svegliarvi dal sonno", scrive San Paolo nella lettera ai Romani (Rom.13,11). Oggi, dalle circostanze in cui siamo posti a vivere, siamo stimolati a riscoprire la freschezza della fede risvegliandola dal torpore in cui rischiamo di addormentarla. L'inizio dell'anno liturgico è anzitutto un risveglio, aprire gli occhi, la mente, il cuore: rinasce la vita! Ma è il risveglio ad una luce che viene dall'alto, la rinascita al dono gratuito di una vita che rigenera il mondo: l'esperienza della fede, non è una ideologia, né un'etica, ma l'incontro con una persona, Gesù Cristo. La Liturgia introduce il credente a questo incontro personale e lo conduce, nel corso dell'anno liturgico, verso la trasformazione della vita in Cristo, non attraverso la imitazione morale ma per la forza operante di Cristo stesso. La Liturgia è il centro dell'esperienza della fede in Cristo, il Figlio di Dio che in Gesù di Nazareth (non un mito) ha assunto la carne dell'uomo, nascendo da una donna, per condividere fino alla morte, e alla morte in croce, la debolezza umana e per risorgere nella pienezza della vita del Padre. In Gesù di Nazareh, nella sua risurrezione, è apparso tutto l'Amore di Dio per l'uomo fragile, debole, peccatore. Il male, la morte, non sono il termine dell'avventura umana e del mondo: il punto più oscuro della fragilità, dell'annientamento, del non senso, diventa il trionfo della vita e dell'Amore. Con la morte in croce di Gesù, irrompe nel mondo l'Amore che vince la morte: la vita risorge! E tutto si illumina: tutto ciò che l'uomo opera, costruisce ha senso, non in quanto è il tentativo illusorio di mettersi le ali con le quali riuscire a travalicare il suo limite, ma solo come espressione del suo insopprimibile bisogno di spazi sempre più aperti di amore: le ali che l'uomo vuole darsi da sé, gli sono donate, quando soltanto crede che la sua piccola vita è un inesauribile dono infinito. Al centro della fede cristiana sta Gesù di Nazareth, l'uomo che muore e che risorge, il Figlio di Dio: un evento accaduto nella storia che si compie nell'eterno. In quanto accaduto nella storia è databile, passa, ma in quanto compiuto nell'eterno rimane per sempre. La risurrezione di Cristo ha cambiato il senso della storia: la storia circolare dei greci, che ritorna sempre uguale, è spaccata dalla novità dell'evento imprevedibile dell'irruzione della vita nuova di Gesù risorto; la storia lineare degli ebrei, che è il succedersi di interventi di Dio nella vita del suo popolo in attesa di un intervento finale, è interrotta da un evento che, nella sua modalità imprevedibile per la razionalità umana, non pone termine alla storia, ma ne anticipa il compimento e nel fluire del tempo, introduce un "già" la cui pienezza è in un "non ancora" verso cui continua a tendere. Così tutto diventa nuovo: il tempo, lo spazio, l'uomo, il mondo, l'universo, tutto è "segno", "sacramento", di una realtà che ci è donata e che ci sfugge, che gustiamo e che continuiamo a desiderare... La Liturgia è il momento nel quale questo diventa esperienza nuova della vita: Gesù che muore diventa il Cristo che risorge; Colui che è ucciso, dona la vita; il seme germoglia; abbandonato da tutti, riunisce tutti; il pianto della donna diventa la gioia dell'amore ritrovato, non nell'illusione miracolistica di un mondo trasformato in paradiso, ma nell'esperienza di un Amore reale, che si dona, si fa gustare e mai catturare. Si dona nel "segno", è il continuo "già" e "non ancora", dove tutto diventa "Liturgia": che cosa sono i "sette" sacramenti, se non una schematizzazione simbolica di tutta la vita umana che, nella sua concretezza, compenetrata dalla forza di Cristo risorto, assume un significato, un senso così grande che la vita stessa diventa divina, eterna? E l' "anno liturgico" è l'irrompere dell'eterno, dell'infinito nel tempo, del senso in ciò che sembra non averne: nella quotidianità delle nostre esperienze, con le gioie e le speranze, le delusioni e le tristezze, è presente la luce, la forza, l'amore di Cristo risorto, e noi siamo invitati a vivere ogni attimo come una "pasqua", passaggio dalla tenebra alla luce, dalla disperazione alla speranza, dalla schiavitù alla libertà, certi della sua presenza con noi, ogni giorno. L'Avvento è l'inizio dell'anno liturgico: nel mondo di oggi la comunità cristiana riprende il cammino della fede, dentro la storia con la certezza di una luce che la illumina e di una forza che la salva. Ma proprio qui è la sfida per la comunità cristiana che oggi ricomincia il nuovo anno liturgico: non è possibile che essa dia per scontato ciò che per l'umanità di oggi scontato non è più; non è possibile che essa non partecipi fino in fondo della situazione in cui l'uomo di oggi vive, se non vuole che l'esperienza liturgica si riduca ad una formalità che sopravvive con esausta nostalgia al suo passato. L'uomo, prima d'ora, non aveva mai cercato se stesso senza portarsi alla luce del lato misterioso e trascendente di una alterità. La nostra invece è la prima civiltà in cui l'essere umano cerca il modo di costruirsi con le sue stesse mani e alla luce della sua smisurata coscienza di sé. Forse, è proprio questo estremo sogno di emancipazione, il modo nuovo dell'uomo di oggi di rivivere l'arroganza e l'ingenuità dell'uomo primordiale di cui parla la Bibbia: anche la coscienza dell'uomo che continua a sentirsi credente, non può non sentirsi turbata. L'Avvento significa vivere l'attesa di Colui che entra nella vita di questa umanità autoconvinta di poter bastare a se stessa: oggi, significa, forse, vivere il desiderio di Dio di convincere gli uomini che senza il suo Amore di Padre, che in Gesù si è rivelato, non è possibile una vita fraterna. L'uomo credente sa di essere esposto alla tentazione psicologica di sentirsi diverso dal mondo, di chiudersi in forme isteriche di rigetto della modernità oppure di lasciarsi avvolgere dalla nebbia di forme religiose del passato, adeguandosi, in realtà, all' autosufficiente coscienza moderna. Vivere l'attesa significa, per l'uomo di oggi, un attimo di fede pura: nel fragore della sua potenza fare silenzio per percepire se tutto ciò che è riuscito a fare gli basta, se non ha cancellato il bisogno di senso, di amore, per lasciare irrompere dentro di sè la presenza di un Altro che gli dà il gusto della vita e gli svela che tutto è bello, buono, solo se tutto è segno di un amore che il Padre vuole che venga condiviso da fratelli. Dio, Gesù, Cristo, Figlio di Dio, l'uomo e la donna, la vita, la morte, il mondo...: tutto ci interpella, tutto oggi sembra svanito. Tutto rinasce. La comunità credente comincia l'Avvento: il mistero infinito aggancia il finito. La fede è il coraggio di riprendere il cammino, sempre nuovo: l'uomo che chiude gli orizzonti, perché si illude di averne il possesso, si limita. Se continua a sentirsi fragile, sperimenta la venuta di Colui che gli dilata la vita all'infinito. |