Omelia (02-12-2012) |
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Commento su Lc 21,25-28.34-36 I segni della fine sono quelli dell'angoscia e di una paura che fa morire. D'altra parte la fine è anche il momento in cui ci raggiunge il Figlio che viene - aspettato e desiderabile - a rimettere in libertà. Solo chi è schiavo o prigioniero sa quanto vale la scarcerazione. Solo chi è consapevole delle catene del peccato sa quanta gioia porta il Figlio che spezza i ceppi di umiliazione versandoci sopra il proprio sangue e torna a dirci che siamo anche noi figli di Dio. Come abbondano i segni della crisi e del timore, ancora di più lo sono quelli della fiducia e della speranza. I segni vanno guardati e compresi (quelli del cosmo e quelli della natura), ma soprattutto bisogna stare attenti ai segnali del cuore perché quello è il luogo dove si giocano le questioni decisive della vita e della morte, del senso dell'esistenza. Sprechi e lussi, ubriacature e ansie per la fine di tutto gravano il cuore come se fosse di piombo, accorciano il tempo. La liberazione del Figlio che viene sulle nubi è riapertura d'ali, è leggerezza dell'anima, è respiro di primavera. Devastazione e liberazione sono vicine, ma contrapposte. Quale delle due si verificherà? L'una o l'altra non sono indifferenti. Per questo bisogna stare attenti e in vigile attesa. Questo è l'avvento, il tempo della venuta e dell'arrivo. La desolazione di Gerusalemme è accostata alla fine del mondo. Quello che si avvicina è devastazione o liberazione? I nemici d'Israele vengono fermati; da ogni esilio c'è ritorno. Anche nell'esilio si può gridare a Dio e cominciare a ritornare. Nella fine del mondo si muore per la paura, eppure qualcuno vede venire il Figlio con potenza e gloria. È il momento per alzare il capo e tornare liberi. Chi ha investito tutto nel presente vede con terrore il crollo dei suoi beni e delle sue attese. Chi ha investito tutto nel cielo vede giungere la felicità perché il Figlio che viene è il Signore che ci ha amato e ha dato se stesso per noi mentre eravamo ancora peccatori. Il suo giudizio è il perdono ai crocifissori e il paradiso al malfattore. È misericordioso come il Padre. Alla sobrietà bisogna aggiungere la vigilanza e la preghiera per non cadere nella tentazione finale di perdere la fede. La vigilanza cristiana è il contrario dell'oppio dei popoli. Restano due tipi di uomini: quelli che moriranno per la paura e quelli che alzeranno il viso perché sanno che il Regno di Dio è vicino. I primi vivono in ansia; gli altri in attesa fiduciosa, imbevuta di speranza. Commento a cura di don Angelo Sceppacerca |