Omelia (16-12-2012) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Conversione, fede, amore... cioè gioia L'episodio del pressante interrogatorio a cui Giovanni il Battista sulle rive del Giordano riassume le caratteristiche portanti dell'avvento: conversione, fede, amore. Egli viene infatti interpellato innanzitutto dalla gente comune, che vuol sapere da lui quale sia l'atteggiamento da assumere in questo momento importante in cui vanno "raddrizzati i sentieri del Signore"; ad essa Giovanni fornisce una risposta proporzionata ed equilibrata: fuggite la mediocrità e datevi alla generosità disinteressata secondo le vostre forze. Come diceva una canzone: "Si può dare di più, senza essere eroi". Anche i pubblicani - noti per la loro disonestà interessata - si avvicinano a lui per porgli lo stesso quesito e anch'essi ricevono una risposta proporzionata al loro stato e alla loro condizione: "Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato", cioè non ricorrete ai raggiri e alle truffe per ottenere guadagni illeciti e immeritati. E infine anche i soldati chiedono orientamento e ottengono ancora una volta una risposta consona e appropriata a loro: "Non maltrattate e non estorcete nulla a nessuno", cioè non ricorrete alla violenza e al furto. Ciascuno insomma si comporti rettamente, considerando la propria formazione e la propria condizione attuale, l'importante è realizzare concretamente il bene, facendo frutti di conversione. Giovanni stava di fatto battezzando con un rito esteriore che significava l'avvenuto pentimento dai peccati da parte di chi veniva bagnato sul capo, che così intendeva convertirsi e attendere con fede la venuta del Messia. Giovanni predica insomma l'amore, ma non da intendersi nel senso filantropico o comunque restrittivo. Egli insegna a praticare l'amore che scaturisce dall'avvenuta trasformazione interiore e che ha dato vita alla fede nel Dio che è Amore e che si manifesterà in Gesù Cristo Figlio di Dio. Siffatto amore raggiunge tutti e vuole avere la corrispondenza da parte di tutti, quindi ciascuno vi può aderire e corrispondere proporzionatamente alle proprie possibilità. Nell'amore siamo invitati anche ad essere latori di giustizia e di equità, e ad instaurare un sistema di convivenza valevole per tutti, nel quale vi siano le condizioni per godere ciascuno del proprio diritto avendo riconosciuta la propria dignità. La ricerca della giustizia vuole però che prima ancora di ogni sistema di legiferazione ciascuno di noi sia effettivamente giusto, che accolga cioè nella propria vita il fatto che Dio vuole renderlo giusto e integro. Ma in sintonia con il profeta Sofonia, che nella Prima Lettura annunciava la liberazione e la pacificazione universale, Giovanni in tutto questo processo ci ragguaglia che la venuta del Signore è indice di gioia, poiché l'obiettivo della conversione, della fede e della carità non può essere che questo: la gioia contrassegnata dall'attesa fiduciosa che il Signore venga. La venuta di Dio si va avvicinando e l'attesa, che ha assunto connotati di conversione e di predisposizione, adesso diventa anche sinonimo di gioia. L'arrivo del Signore a Natale ci rallegrerà, motiverà le nostre speranze, accrescerà il vigore della nostra attesa, accentuerà la nostra preparazione, questo perché è in se stessa un'attesa di gioia e non di trepidazione. La gioia comporta certamente serenità interiore e fiducia, benessere e stabilità d'animo, ma per ciò stesso comporta apertura al prossimo nella condivisione e nella carità. Chi gioisce dona e moltiplica il dono di se stesso: "Non angustiatevi per nulla... siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!" Come Giovanni Battista aveva promesso la novità di vita per ciascuno ("Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio") così anche Paolo si mostra esultante nel monito alla gioia e alla letizia in vista della prossima venuta del Signore. E in effetti non può essere diversamente: la presenza di Dio nella nostra vita ci da' motivo di estinguere le nostre apprensioni e di scongiurare la disperazione e la resa; ci dona il coraggio e la fiducia che scaturiscono dalla fede, la quale ci rende costanti nella prova, risoluti e determinati nel bene. La speranza, che poggia sulla fede e da essa si dirama (Moltmann), dandoci la certezza della vicinanza di Dio, accresce la confidenza verso Dio e aiuta ad attendere con fiducia il suo intervento nelle nostre vicende. La motivazione e lo slancio che ci derivano dalla comunione con Dio producono di conseguenza la serenità nei confronti degli altri, dando l'esperienza concreta della certezza che "c'è più gioia nel dare che nel ricevere" (At 20, 20) e che quindi la carità apporta molte più soddisfazioni di quanto ne precludano la protervia e la chiusura egoistica. L'attesa del Signore nella fede, nella speranza e nella carità è quindi motivo di gioia e di contentezza, come pure ragione di letizia è la stessa vicinanza del Dio che esce da se stesso per rendersi uno di noi. |