Omelia (16-12-2012)
don Luciano Cantini
Convertirci all'uomo

«Che cosa dobbiamo fare?»
Giovanni non era stato tenero nei confronti della folla che aveva chiamato razza di vipere, a cui aveva chiesto il frutto della conversione. La folla, già presa dalle proprie difficoltà, era andata a sentire questo nuovo predicatore con in cuore chissà quali speranze; Giovanni stava battezzando nel Giordano proprio per la conversione. Nonostante questo aveva tolto di sotto i piedi alla folla dei giudei l'unica certezza che era rimasta: essere discendenza di Abramo. La domanda «Che cosa dobbiamo fare?» ha il tono di chi non sa più che pesci prendere. Forse è una domanda ovvia, scontata, spazzata via la dimensione dell'essere (figli di Abramo) non rimane che quella del fare.
Questa domanda è ripetuta tre volte, non è una domanda religiosa, anzi è una domanda molto laica o forse laica e religiosa insieme. È un punto d'incontro tra persone diverse come la folla degli ebrei, i pubblicani considerati peccatori senza più speranza, i soldati, probabilmente romani pagani che avevano scoperto le speranze del messianismo giudaico. Il fare è terreno comune che può far incontrare credenti, emarginati e non credenti.

Rispondeva loro
La risposta del Battista non dice nulla che riguardi il Dio, che riguardi la religione, che riguardi il culto. Se vogliamo veramente avere a che fare con Dio dobbiamo avere a che fare con l'uomo. Per superare lo sconforto e la confusione occorre ritrovare il fare del cuore, ritrovare il senso ultimo e profondo dell'agire umano nella vita quotidiana. Occorre ritrovare quella dimensione della vita capace di restituire lucidità e chiarezza, di fare discernimento e individuare strade per la convivenza pacifica e la costruzione del bene comune.

Chi ha due tuniche...
Le risposte di Giovanni non chiedono di cambiare vita ma di dare senso alla propria vita nella solidarietà, nella giustizia, nella uguaglianza. Giovanni chiede condivisione e abbandonare gli atteggiamenti che sanno di potere e che scivolano inesorabilmente nella prepotenza e prevaricazione. Eppure Giovanni predicava la conversione e chiedeva frutti di conversione: forse non abbiamo chiarissimo questa esigenza che una certa spiritualità individua in un imprecisato cambiamento di rotta per dirigere la propria vita verso Dio, magari il suo culto ed i suoi riti. Giovanni, invece ci chiede di convertirci all'uomo. Giovanni, nella concretezza delle sue risposte, non indica delle "cose da fare", ma chiede di fare spazio all'altro, rispettandolo, accogliendolo, togliendo da sé qualsiasi potere sull'altro, mantenendo ciascuno la propria condizione e il proprio impegno. La vera conversione, dà il suo frutto, la sua visibilità, dal posto che l'altro occupa nella nostra vita, specie quando debole, indifeso, povero, o soltanto di passaggio.