Omelia (16-12-2012)
mons. Gianfranco Poma
Giovanni annunciava al popolo la buona notizia

La terza domenica di Avvento è tradizionalmente chiamata "Gaudete" perché la Liturgia è tutta un invito alla gioia.
Il profeta Sofonia in un momento drammatico della vita del suo popolo, quando la monarchia ormai è alla fine e il dramma dell'esilio si profila all'orizzonte, dopo aver richiamato alla conversione e dopo aver proclamato minacce per le nazioni e per Israele, alla fine in nome di Dio pronuncia parole meravigliose di speranza: "Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio è in mezzo a te: è un salvatore potente. Gioirà per te. Ti rinnoverà con il suo amore. Esulterà per te con grida di gioia".
La lettera di Paolo ai Filippesi, pur non nascondendo le difficoltà che l'apostolo sperimenta nel suo cammino, è un continuo richiamo alla gioia, dall'inizio (Fil.1,18.25) alla fine, con il piccolo brano che oggi leggiamo: "Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù" (Fil.4,4-7).
Sono parole stupende quelle di Sofonia e di Paolo, che la Liturgia fa ascoltare a noi, oggi, perché le viviamo e le gustiamo: è l'esperienza personale di Dio, una relazione d'amore che ringiovanisce la vita, l'esperienza di un Dio vicino, dello sposo che con la sposa esulta con grida di gioia. È l'esperienza della fede, che Sofonia preannuncia e che Paolo annuncia come realizzata in Gesù, il figlio che dona la vita per noi: la fede è l'esperienza dell'amore di Dio per noi. Se Dio ci ama, noi siamo liberi da tutte le paure, nei momenti difficili possiamo rivolgere a lui le nostre invocazioni, siamo nella pace, la nostra vita spoglia di ipocrisie, rivendicazioni, desiderio di potere, è bella, gioiosa, felice.
Il brano del Vangelo che oggi leggiamo (Lc.3,10-18), continua a presentarci la figura di Giovanni il Battista, con i tratti particolari con cui Luca lo descrive che lo rendono tanto attuale e ci conducono ad aprirci all'incontro con Gesù: l'importanza del messaggio di Giovanni non esaurisce, anzi, apre alla novità cristiana.
Così, in modo raffinato, Luca ci invita ad accogliere l'urgenza profetica di Giovanni, ma ci esorta a non fermarci a lui, non rimanere suoi discepoli, e ci spinge ad accogliere la meraviglia dell'identità cristiana che è donata a chi si fa discepolo di Gesù Cristo.
In linea con il messaggio profetico dell'Antico Testamento, Giovanni richiama il popolo alla necessità della conversione morale. Nei versetti che precedono il brano che oggi leggiamo, appare tutta l'energia con cui vuole risvegliare il popolo ad una autentica rinascita morale: "Razza di vipere, chi vi ha suggerito di fuggire dall'ira incombente?..." Alle folle Giovanni vuol dare una coscienza nuova che la faccia uscire veramente dalla situazione di immoralità nella quale è mantenuta ipocritamente da maestri che addormentano il senso morale. Occorre che la folla cominci ad aprire gli occhi: c'è qualcuno (chi?) che suggerisce come sfuggire, anziché affrontare, il giudizio incombente per chi ama rimanere "generazione del serpente". Giovanni vuole che la folla cominci ad accorgersi dell'esistenza di manipolatori della coscienza, per affrontare realmente il problema di una impostazione autentica del senso della vita ("la conversione"): "fate frutti autentici di conversione".
Ed aggiunge: "Non cominciate a dire tra di voi: ‘Abbiamo Abramo come padre...'. Dio può suscitare figli di Abramo da queste pietre...". Giovanni risveglia un atteggiamento critico anche in rapporto alla possibilità della manipolazione della religione: è possibile usare anche la religione come strumento che addormenta una autentica coscienza morale. Egli vuole un'umanità libera, non ipocrita, responsabile: nella scelta fondamentale dell'esistenza Giovanni è radicale. Ed appare la caratteristica tipica di Luca nell'interpretare l'etica di Giovanni: la radicalità della scelta fondamentale si coniuga con un raffinato equilibrio nelle scelte concrete della vita.
Al suo appassionato appello per il cambiamento della vita, risponde la folla ponendo la domanda che viene spontanea anche a noi: "Dunque, che cosa dobbiamo fare?". La stessa domanda sorge pure dal cuore dei pubblicani, esattori delle imposte, in questo momento a favore di un potere straniero, e alla fine pure i soldati, espressione ultima di una autorità che opprime la libertà del popolo chiedono: "E noi, che cosa dobbiamo fare?". La risposta di Giovanni alla folla e alle diverse categorie, è concreta, equilibrata: è il richiamo alla solidarietà, alla condivisione, alla giustizia, all'onestà. È il richiamo alla responsabilità di tutti per la costruzione di una vita bella, gioiosa, per tutti, per una comunità felice.
La descrizione della situazione psicologica del popolo fatta da Luca, ci fa capire quanto fosse intenso il desiderio di una vita di pace e quanto le indicazioni di Giovanni mettessero in evidenza ciò che in quel momento mancava: "Il popolo era in attesa e tutti, in cuor loro si domandavano se non fosse lui il Cristo". In una situazione di oppressione e di depressione, il popolo attende un Messia! Ma Giovanni, onestamente mette in evidenza il suo limite: egli non vuole offrire illusioni al popolo. Il suo è un messaggio etico: richiama ciò che occorre cambiare, indica la strada da percorrere, suscita il desiderio e in chi accoglie l'invito, anche l'impegno per una vita nuova. Ma poi si ferma: per poter realizzare ciò che è avvertito come necessario occorre una forza nuova che l'uomo sente di non avere. Il problema è il cambiamento del cuore che l'uomo da solo non può darsi. Non basta il battesimo nell'acqua di Giovanni: occorre una immersione nello Spirito Santo.
E sta qui la novità che Giovanni annuncia: "Con molte e ancora altre esortazioni, Giovanni annunciava la buona notizia". Giovanni esorta incessantemente: poi porta una lieta notizia. L'etica è ancora un impegno per l'uomo impotente: poi viene la fede. Viene Gesù, il Cristo, che non cambia il mondo in modo miracolistico, ma con il suo Spirito dona all'uomo il cuore nuovo di cui ha bisogno: solo con il cuore nuovo diventa possibile non solo la solidarietà, l'onestà...ma anche l'Amore che genera un mondo nuovo. Ma occorre non fermarsi all'etica: occorre sperimentare la fede in Colui che ci ama e che crea in noi un cuore nuovo. È il motivo della nostra gioia: il più forte di Giovanni è venuto. La sua forza è l'Amore con cui ci ha amati sino al dono totale di sé: se ci lasciamo amare da lui, se crediamo il suo amore, anche noi cominciamo ad amare e la nostra fragile vita diventa dpotente come quella di Dio.