Omelia (23-12-2012)
don Alberto Brignoli
Elisabetta nostra madre e sorella

Mi ha sempre affascinato, nella mia immaginazione, l'incontro tra queste due donne ebree, una molto giovane, l'altra più avanti negli anni, accumunate dalla parentela, dalla gravidanza e dalla straordinarietà del modo in cui, per entrambe, ciò è avvenuto. Il Vangelo è, insieme, ricco nella sua descrizione ma pure scarno di particolari, dal momento che dedica al loro incontro vari versetti (tra l'altro rimasti nella memoria di ogni credente, lungo i secoli, soprattutto per il Cantico di Maria) ma al tempo stesso sorvola sui tre mesi trascorsi da Maria in compagnia di Elisabetta, in modo particolare nel momento della nascita di Giovanni, a cui possiamo presumere che Maria abbia assistito.
Che cosa si saranno dette (oltre al "Magnificat" e a un pezzetto di "Ave Maria") durante quei momenti trascorsi insieme? Come avranno commentato, tra di loro, ciò che stava avvenendo "dentro" - non c'è avverbio più appropriato - la loro storia personale? Che cosa avranno detto riguardo a questo Dio manifestatosi a loro e ai loro mariti in modo così particolare? Tra l'altro, dei quattro coniugi, solo Elisabetta è quella che non riceve - stando ai Vangeli - alcuna rivelazione divina riguardo la sua maternità: eppure, è quella che più degli altri tre sperimenta su di sé la grandezza della potenza di Dio, in quanto "vecchia" e "sterile". La più "miracolata", la più "baciata dalla misericordia di Dio", è "colmata di Spirito Santo" nonostante nessuno lo avesse a lei rivelato direttamente dall'alto, né in sogno, né in visione, come fu per Zaccaria, per Maria e per Giuseppe.
Forse, è proprio questo che la rende ancor più vicina a noi: a noi, parte di quell'umanità che, senza clamori né eclatanti rivelazioni dall'alto, continua a credere con insistenza e a sperare contro ogni speranza, confidando solo nella misericordia di Dio, nonostante tutto. Non voglio certo sminuire la grandezza della Madre di Dio, o quella di figure di uomini giusti come Giuseppe e Zaccaria, ma Elisabetta ha qualcosa di particolare che la rende molto più simile a noi: ed è l'ordinarietà e la quotidianità della sua esistenza e del suo modo di vivere la fede, il suo nascondimento messo in atto dal momento in cui scopre di essere incinta (rimase nascosta cinque mesi, ci dice Luca), il suo sentirsi un nulla di fronte alla grandezza della cugina più giovane (atteggiamento che trasmetterà a suo figlio, il quale lo ripeterà nel suo rapporto con il Messia), la sua insistenza a rimanere fedele alle promesse di Dio nel momento in cui dovrà - insieme al marito zittito perché troppo presuntuoso e diffidente - dare il nome al proprio figlio contro il parere della tradizione e della legge.
Una donna forte, coraggiosa, tenace, come tante esaltate nella Sacra Scrittura, ma come molte altre presenti nella storia dell'umanità, in ogni dove e in ogni quando, che senza fare rumore intorno a sé hanno scritto pagine di vita vissuta e di fede professata di fronte alle quali ci sentiamo veramente poca cosa. E tra esse, ci mettiamo molte delle nostre mamme e delle nostre nonne, donne che hanno sperimentato la sofferenza e il dolore sulla propria pelle, e hanno sempre risposto con un "sì" anche quando tutto intorno a loro diceva "no". Elisabetta è nostra madre e sorella, madre di quell'umanità umile ma talmente amata ed esaltata da Dio da essere considerata il vertice più alto della Creazione ("tra i nati di donna, non ne è sorto uno più grande di Giovanni il Battista"), proprio a motivo della sua umiltà.
Se guardiamo al cammino fatto in questo Tempo di Avvento così breve, ci rendiamo conto di come non ci potesse essere conclusione più appropriata che quella dell'incontro con la figura di Elisabetta. In una umanità sconvolta per ciò che continuamente vede accadere nel mondo in cui si trova a vivere (le drammatiche notizie di stragi di innocenti ascoltate in questi giorni sembrano riportarci alle terrificanti immagini della Liturgia della Parola della 1ª domenica), lo Spirito di Dio pervade la vita non dei grandi della storia o dei potenti di turno, ma degli umili e dei semplici che si sanno fidare di Dio e che sono capaci di far risuonare la Parola di Dio anche nel deserto del quotidiano (2ª domenica). È di quest'umanità - che ben conosce la concretezza della vita di ogni giorno con le sue ricchezze ma anche con le sue difficoltà, e che sa unire la fede con la vita (3ª domenica) - che Dio si serve per rivelare il suo messaggio di salvezza. E se ne serve, anche se le apparenze che essa dà a vedere non sono certo di vitalità e di vigore. Da questa donna già provata dal peso degli anni e ancor più dall'incapacità a generare vita, Dio sa trarre il germe di un'umanità nuova.
Allora, ciò che conta nella vita non è l'apparire, ma l'essere; ciò che conta, di fronte a Dio, non è l'immagine di noi stessi che diamo al mondo, magari camuffata dietro il mito dell'eterna giovinezza o di un'efficienza totale e assoluta anche dove questa non c'è, ma la fiducia incondizionata in lui, per il quale davvero nulla è impossibile. Se dunque Elisabetta, come spesso diciamo, è anche immagine di una Chiesa di antica tradizione curva sotto il peso degli anni e delle proprie fatiche, apparentemente incapace a rigenerarsi e che guarda con speranza alle giovani Chiese piene di vitalità, non facciamoci prendere dalla delusione o dallo scoraggiamento ogni volta che abbiamo l'impressione che le nostre chiese si svuotino, che le nostre assemblee invecchino, che le nostre attività vadano a vuoto: da Betlemme, infatti, "così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele".
Dio è capace ancora oggi di stupire l'umanità. E quando vedremo le sue fattezze nella grotta di Betlemme, lo stupore e la meraviglia pervaderanno ancor di più il nostro cuore.