Omelia (25-12-2012) |
don Roberto Seregni |
Rimani lì, Signore Mi concedo un'ora di pausa dallo studio pomeridiano e faccio due passi per strade di Salamanca. Il vento è gelido e si aggira pungente tra le strade del centro. Le luminarie colorate gettano luci allegre sui passanti che sbirciano le vetrine alla ricerca del regalo giusto per il Natale. Sotto un portone della Calle Zamora un ragazzo suona un violino scordato e il suo fedele cagnolino lo ammira accucciato sopra una coperta sudicia. La via è strapiena di gente, un fiume di berretti e sciarpe colorate. Tutti vanno di fretta, saltano da una vetrina all'altra. Una donna sta seduta ai piedi di un lampione con le mani tese, una ciotola sbeccata con pochi spiccioli e un cartello appoggiato a terra con una scritta illeggibile. Una ragazzo, bardato come un alpinista appena sceso dal K2, distribuisce pubblicità di uno dei mille bar della città. Una coppietta sta abbracciata su una panchina, sembra un innesto vivo su quel tronco gelido in attesa di vita calda. Con fatica esco dal fiume in piena delle compere natalizie e varco il portone di una delle bellissime chiese del centro. Mi chiudo la porta alle spalle e subito il silenzio, finalmente, viene a farmi visita. La chiesa è quasi buia e deserta, solo una signora anziana sgrana il rosario e bisbiglia le sue orazioni sotto voce. Qualche candela accesa agli altari laterali esalta la bellezza della pietra d'orata di Villamayor, elemento essenziale delle costruzioni di Salamanca. In una delle cappelle laterali è stato allestito il presepe. Bello, semplice, tradizionale. Mi siedo lì vicino e osservo i vari personaggi. Ognuno è intento nel suo lavoro: il panettiere, il pescivendolo, il pastore e molti altri. Trovo pure il mio personaggio preferito: il dormiglione. Una striscia sottile di farina traccia i sentieri di quell'angolo di Bethlemme e uno specchio ovale regala acqua luminosa alla memoria della nascita del piccolo Gesù. La grotta con Maria e Giuseppe è costruita in un angolo. Bella, ampia, ordinata. Gli angeli svolazzano felici e il cucciolo di Messia sorride sereno. Forse la scena è dipinta con caratteri eccessivamente zuccherini, ma c'è un elemento che attira la mia attenzione: tranne Maria e Giuseppe nessuno dei presenti sulla scena è rivolto a Gesù. Ciascuno è preso dai suoi affari. Ciascuno è preoccupato delle sue cose. Forse il piccolo Gesù non aveva riccioli biondi e guanciotte paffute come nella ricostruzione salmanchina, ma di certo la sua nascita è avvenuta in questo contesto di totale indifferenza. E forse, realmente, è così anche oggi. Ognuno corre per la sua strada, bada ai suoi affari, si lamenta per la crisi, sbuffa per la politica e per gli intrighi del potere, prepara il menù per le feste di Natale, spera di passare giornate di totale riposo, ricicla qualche regalo per i parenti... E Lui è lì, in quella culla improvvisata in una mangiatoia. Gesù nasce nell'indifferenza per fare la differenza. Da quel giorno in cui Dio ha preso carne nella nostra carne, in cui l'eterno è entrato nel tempo, nulla è come prima. Da quella notte, in cui il primo vagito dell'Altissimo stretto tra le braccia esili e coraggiose di Maria ha riempito la stalla di Bethelemme, è iniziato un tempo nuovo. Il Suo primo respiro ha segnato il punto zero della nostra era. Lui fa la differenza. Ora non è più possibile non schierarsi. L'indifferenza è rifiuto. O con Lui o contro di Lui. O sulla roccia o sulla sabbia. Non esistono misure di compromesso o scorciatoie. Quel bimbo infreddolito è la nostra dolce rovina: davanti alla sua culla, come davanti alla sua Croce, è ammesso solo il silenzio pieno della contemplazione. L'altro silenzio, quello abitato dall'indifferenza, è il rumore sordo e freddo del rifiuto, è il frastuono caotico che non ha permesso all'innominato ricco di accorgersi del povero Lazzaro. E ancora, dopo duemila anni, il cucciolo di Messia rimane lì, in quella culla. Rimane lì per tutti, perché tutti possano accoglierlo, dire sì, scoprire la bellezza gratuita di un amore che chiede solo di essere accolto, che chiede solo di poter amare. Rimane lì per chi lo ha scelto con tutto il cuore e ha la sensazione di essere rimasto a mani vuote e ora si fa la stessa pungente domanda di Pietro: e noi cosa ne avremo? Ecco perché sei a mani vuote: per abbracciare quel bimbo. Rimane lì per chi ha la sensazione di aver sbagliato tutto e non ha la forza di ricominciare, perché davanti a quella vita nuova e spumeggiante ricordi che la scintilla della vita di Dio abita la nostra umanità. Rimane lì per chi si sente diverso, perché ricordi che questa è l'unica cosa che tutti abbiamo in comune e che il Figlio di Dio fatto uomo ha abbattuto ogni muro e ha insegnato a pregare un unico Padre che è "nostro". Rimane lì, immobile davanti alla nostra indifferenza, sperando che il soffio dello Spirito trovi uno spiraglio per scalzare le nostre immobilità e ribaltarci dai bastioni delle nostre paure. Sento una mano che mi tocca la spalla. "Tengo que cerrar", mi dice un signore anziano sottovoce. "Lo siento, ya me voy...". Lancio un ultimo sguardo alla mangiatoia... Rimani lì, Signore. don Roberto robertoseregni@libero.it |