Omelia (25-12-2012)
Gaetano Salvati
Commento su Giovanni 1,1-18

"In principio era il Verbo" (Gv 1,1). San Giovanni inizia il suo vangelo narrando che Dio si è fatto carne (v.14), è venuto fra noi (v.11) per rendere "figlio di Dio" l'uomo che riconosce la sua luce (v.12).
Questa luce, nascosta nella greppia di Betlemme, desidera oggi dimorare nei nostri cuori. Contempliamo la gloria del divin Salvatore, "gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre" (v.14), perché istruiti dal Suo esempio possiamo essere poveri in spirito, umili di cuore, mortificati come fu Lui nel presepe. Con lo sguardo del cuore, accostiamoci alla mangiatoia. Vedremo il Verbo, splendore e Immagine vivente del Padre (14,9-11), "Alfa e Omega, Principio e Fine" (Ap 21,6), "il Primo e l'Ultimo" (1,17) vincolo fra il Padre e lo Spirito Santo, fatto Bambino per insegnarci a divenire uomini perfetti, autentici adoratori del Padre. Il Creatore e la Creatura, l'Infinito e il Finito, non ha scelto una dimora sontuosa, adatta per ospitarLo, ma ha voluto giacere in una stalla, si è abbassato per ammetterci al Suo altare nel tempo, attraverso i sacramenti e l'ascolto della Parola, e alla Sua gloria nell'eternità, la partecipazione alla vita divina. In Lui, Creatore del mondo (Gv 1,3), che ha unito l'ordine della natura all'ordine della gloria, l'uomo non vaga in un esodo senza rifugio, ma è raggiunto, confortato, dall'avvento di Dio, temine ultimo e inizio delle promesse fatte a Israele. Dinnanzi all'Infante, avvolto in fasce per sciogliere le nostre anime da tutti i lacci del peccato, comprendiamo (dobbiamo comprendere) che Egli ci ama con infinita pazienza, perché è infinitamente Amore. Per cui, anche se lo rinneghiamo, se lo dimentichiamo, se cessiamo di essere figli a causa delle nostre azioni, la Sorgente di grazia non ci rinnega, né ci dimentica mai.
La scena della mangiatoia, la debolezza e l'impotenza di Cristo Signore, allora, ci aiuta, nel difficile cammino nel mondo, a mettere i piedi sulle tracce dei Suoi passi. In primo luogo, la debolezza. Gesù, reso debole per fortificarci, povero per arricchirci, umile per esaltarci, ci ricorda che tutte le ricchezze, gli agi dell'esistenza, non rendono felici l'uomo; la povertà (non la miseria), invece, intesa quale riconoscimento dei propri limiti, conduce la creatura ad affidarsi interamente a Dio, e a non smarrirsi nelle distrazioni del tempo. Dopo, l'impotenza. La buona novella della Sua venuta e del Suo regno è testimoniata solamente dalla capacità del cristiano a farsi collaboratore instancabile dei Suoi fini (la salvezza). Si tratta di modificare le nostre azioni avendo come punto di riferimento il Bambino Gesù: Egli desidera per noi l'ubbidienza della fede; la mortificazione per amor Suo, cioè il servizio continuo nel Suo nome; infine, la carità che ci spinge a lavorare per il Suo Amore, per la Sua gloria, per la nostra conversione e per quella degli altri.
In questo Natale, quindi, affidiamo all'Infante le nostre ansie, le preoccupazioni, le sofferenze, la nostra superbia, perché possa mutarle, nella Sua umiltà, nella lode perenne di ringraziamento verso Colui che ci ha resi liberi di amarLo e "figli di Dio" (v.12). Amen.