Omelia (25-12-2012) |
don Roberto Rossi |
Il Figlio di Dio si è fatto uomo - In braccio al Padre Ho chiesto ad un amico biblista una riflessione sulla divinità di Gesù nei vangeli del Natale. Offro questo dono a tutti. Per un racconto - per ogni racconto - l'inizio è un punto cruciale: non solo perché è il luogo del primo contatto, del primo incontro fra autore e lettore, ma più ancora perché dal punto di partenza scelto dipende anche l'itinerario di quel viaggio particolare che è la lettura o l'ascolto di una storia. Giovanni, in maniera originale rispetto a Matteo e a Luca, sceglie di non raccontare gli episodi legati alla nascita e all'infanzia di Gesù (gli annunci angelici, Betlemme, i pastori...): il suo punto di partenza è diverso. Egli inizia in maniera molto solenne, con un brano che ha uno stile assai vicino alla poesia, e che ci porta in alto, fuori dalla quotidianità e fuori addirittura dalla storia: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Siamo ancora prima della creazione, nulla esiste al di fuori di Dio, eppure egli non è solo: presso di lui, anzi, letteralmente, "rivolto verso di lui" c'è il Figlio, che qui viene designato con il termine di Verbo, ossia di "Parola". Capiremo meglio anche il senso di questo appellativo, ma prima occorre che ci soffermiamo su questo speciale rapporto fra il Padre e il Figlio. In quanto Dio, il Figlio esiste già; prima che il mondo sia creato, prima del tempo, prima della storia, prima ancora di prendere la carne di uomo, il Figlio esiste già, ed ha un'intimità profondissima con il Padre: è "rivolto verso di lui", addirittura è nel seno del Padre, cioè nel suo abbraccio, come dirà Giovanni poco più avanti. Quando il mondo viene creato, Dio non è un essere solitario: Padre e Figlio si stringono in un eterno abbraccio. Il libro della Genesi aveva già raccontato la creazione del mondo e dell'uomo da parte di Dio; Giovanni ritorna su questo racconto e lo approfondisce, rivelandoci che il Figlio ha avuto un ruolo attivo fin dal primo istante di vita del mondo. E il Figlio è Verbo, ossia "Parola" del Padre. Lo è perché, assunta una carne umana, ci ha parlato del Padre, e ci ha rivelato ciò che noi da soli non avremmo potuto sapere del Dio invisibile ai nostri occhi. Nel seguito del suo Vangelo, Giovanni riferirà molti lunghi discorsi di Gesù ai suoi discepoli e ai Giudei; tuttavia ciò che Gesù ha rivelato del Padre non si limita ai discorsi: la rivelazione più alta, infatti, sta nel dono della vita sulla croce: lì il Figlio ci ha detto in maniera visibile e definitiva quanto era grande il suo amore per il Padre e per gli uomini, un amore che arriva al dono totale di sé; e lì il Padre ci ha detto in maniera visibile e definitiva quanto era grande il suo amore per noi, un amore che arriva al punto di donare a noi la vita eterna attraverso la vita del Figlio amatissimo offerta sulla croce. Cristo, dunque, è Parola perché ci ha parlato del Padre, e perché il Padre, attraverso di lui ci ha parlato di sé in maniera definitiva. Se è vero che Dio è amore, la manifestazione più piena di Dio è avvenuta dove più pienamente si è manifestato l'amore. Amore, vita e luce si legano a vicenda, e quasi si rincorrono in questo inno giovanneo al Figlio di Dio. Eppure, in questa stessa pagina, non manca una presenza di segno contrario: le tenebre. Fin d'ora si profila il dramma della non accoglienza, del rifiuto di quell'amore vivificante che il Padre, attraverso il Figlio ha messo in luce e offerto a noi. E' il dramma dell'uomo, che deve prendere posizione e scegliere se accogliere nella fede il Figlio di Dio, oppure rifiutarlo e respingerlo via da sé. Tutto il racconto di Giovanni si articolerà proprio su quest'antitesi fra fede e rifiuto, in un'atmosfera spesso vicina a quella di un processo, dove si avvicendano veri e falsi testimoni. Giovanni - lo dicevamo - non ci ha offerto alcun racconto sulla nascita di Gesù; si limita a dire, con lapidaria concisione, il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Se cerchiamo il calore di una scena familiare, l'abbraccio di una mamma, dovremo affidarci ai Vangeli di Matteo e di Luca, o ai presepi che accompagnano le feste natalizie. Ma a Giovanni siamo grati perché ha provato ad offrirci, nello stile solenne del suo Prologo, l'affresco dell'abbraccio eterno e ineffabile fra il Padre e suo Figlio. Un affresco che, per ammissione dello stesso Giovanni, chiede di essere completato. Il Figlio, infatti, a quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: nel calore di quell'abbraccio eterno, dunque, c'è posto anche per noi. Così il punto di partenza del racconto di Giovanni possa essere anche - è l'augurio che ci facciamo in questo Santo Natale - il punto d'arrivo delle nostre vite. d. Enrico C. G. |