Omelia (25-12-2012) |
don Alberto Brignoli |
"E venne ad abitare in mezzo a noi" Chi più, chi meno, tutti abbiamo una dimora, una casa. C'è chi l'ha costruita con le proprie mani, a volte nel fine-settimana, ritagliandosi il tempo dal lavoro settimanale, mentre costruiva le case degli altri. C'è chi l'ha scelta già fatta, chi l'ha fatta progettare, chi l'ha ristrutturata a suo piacere, chi l'ha semplicemente ereditata, chi occupa per contratto la casa di altri, chi la occupa abusivamente; c'è pure chi ce l'ha e non la occupa, e ci sono pure persone senza fissa dimora, o perché non sono proprietari proprio di nulla, o perché ne hanno talmente tante da non sapere più quale scegliere... sì, perché anche ciò che tutti hanno e che quindi ci accomuna, come la casa, è spesso fonte di ingiustizie, motivo di squilibri, luogo di violenze. In genere, si ritorna a casa per sentirsi "a casa", appunto, eppure le mura domestiche spesso nascondono anche incomprensioni, fragilità, discussioni, tradimenti, violenze, al punto da sentirsi più sicuri stando fuori casa il più possibile. Si costruisce una casa per evitare, nonostante tutto ciò che può succedere nella vita, di restare senza un luogo dove posare il capo e trovare sempre la possibilità di mangiare in pace mettendo le gambe sotto il tavolo: eppure tanti sforzi e sacrifici fatti vengono resi vani da spese, da costi, da imposizioni fiscali e da tassi d'interesse sui mutui che non ti permettono di godere della tua casa se non quando ormai è il tempo di abitare un'altra dimora, quella eterna... Si progetta una bella abitazione perché diventi un luogo sicuro per il proprio futuro e per quello dei propri figli, e poi un presente privo di lavoro e di sicurezze impedisce che il futuro si sostituisca al presente. Anche quando tutto va bene, e ci si siede tutti attorno ad un tavolo nella più totale armonia, difficilmente si riesce a dialogare senza che qualche apparato elettronico sempre acceso rompa il ghiaccio e a volte anche le relazioni. E poi, c'è da dire che soprattutto noi, italiani, abbiamo un concetto ben chiaro della casa: poco o tanto che la abitiamo nell'arco della giornata, dev'essere piena di ogni cosa, non deve mancarvi niente, dev'essere confortevole, ordinata, ariosa, luminosa e possibilmente anche economica, perché - anche se spesso lo prendiamo come un albergo, cioè un dormitorio e una sala da pranzo - quell'albergo dobbiamo sentirlo nostro, stabile, sicuro, duraturo. Non per tutte le culture è così. In molti paesi e tra molti popoli, spesso sviluppati quanto e anche di più del nostro, l'idea di casa è molto associata alla precarietà, alla mobilità del lavoro che ti costringe a traslochi più frequenti; quando addirittura la casa non è una tenda, che si leva e si arrotola a dorso di un animale da soma e si sposta di luogo in luogo, fino a trovare stabilità, terre da coltivare, città da edificare. Eppure, nonostante tutto questo... "Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". Lui che, abitando pacifico nei cieli, si poteva almeno risparmiare la fatica di dover gestire una dimora qui sulla terra, getta il suo sguardo su un lembo di terra, a dire il vero nemmeno tra i più suggestivi del pianeta, e decide di condividere con noi la vita di ogni giorno. E la cosa più interessante è che non l'ha fatto una sola volta, nella storia, come i grandi dell'umanità, nati, vissuti e morti in un determinato periodo storico e in un preciso luogo geografico; continua a farlo in ogni paese e in ogni città, in ogni cultura e in ogni nazione, in ogni epoca e in ogni istante, ogni volta che una famiglia o una coppia, un bambino o un anziano, si trovano ad occupare un pezzo di storia e di terra di questa complicata umanità. Se il suo continuo "abitare in mezzo a noi" prescinde da uno specifico spazio e da un determinato luogo, tuttavia non è una cosa generica, globalizzata e appiattita in maniera uniforme sulle varie culture: dove stabilisce la sua dimora, il Figlio di Dio assume totalmente diritti e doveri, oneri o onori, "gioie e dolori, fatiche e speranze" dell'umanità che lì è nata è lì vi abita. Mi piace pensare - e non credo di essere distante dalla realtà - che Gesù di Nazareth, il Cristo, abbia davvero condiviso tutto ciò che l'umanità vive, senza farsi degli sconti e senza privarsi di nulla se non di ciò che andava decisamente contro la volontà del Padre suo: e allora, oggi, è giusto pensarlo tra i banchi di una scuola, dietro la scrivania di un dirigente, ai fornelli di una cucina, tra le corse di un ospedale, nella catena di produzione di una fabbrica, davanti allo schermo del PC in un ufficio, alla guida di un autoarticolato o - come davvero fece nei suoi circa 30 anni di vita - sulla barca, pescando a fatica. Gesù, in ogni tempo, rivive la sua presenza in mezzo all'umanità come quando, in quella determinata epoca storica, "venne ad abitare in mezzo a noi". Anch'egli, oggi, sarebbe alle prese con affitti ed IMU, con riunioni condominiali e tasse sui rifiuti, con permessi edilizi e dichiarazioni dei redditi, con governi da votare e politici da buttare, con imposte da pagare e con salari da far quadrare... poveretto, in che mondo è venuto ad abitare! E soprattutto, che bisogno ne aveva? Ma noi, è proprio di un Dio così che avevamo e abbiamo bisogno! Un Dio che parli veramente il linguaggio della gente perché ne condivide le storie, e non perché "si immagina" come vive la gente e quindi promette soluzioni facili e populiste che oggi nessuno, ma davvero nessuno, può avere la pretesa di aver individuato. In questa crisi ci navigheremo ancora per un bel po', lo sappiamo tutti, e non facciamoci illusioni; ma da questa notte, non siamo più soli. In realtà, non lo siamo mai stati: ma caso mai ce ne fossimo scordati, il Natale ce lo ricorda in maniera inequivocabile. Forse, allora, se Lui è con noi e abita in mezzo a noi, la speranza in una vita migliore non è più una possibilità così remota. |