Omelia (27-12-2012)
Riccardo Ripoli
Vide e credette

Un giorno mi telefonano i servizi sociali per chiedermi di accogliere un bambino di tredici anni. Per valutare la nostra capacità di poterlo aiutare e la compatibilità con gli altri bambini presenti all'interno della nostra famiglia, chiedo sempre una relazione che mi faccia capire quali problemi potremmo incontrare nell'accudimento del nuovo arrivato. La relazione era un campo di battaglia, tolto a otto anni alla famiglia che lo picchiava e forse ne abusava, aveva al suo attivo, in appena cinque anni, nove case famiglia e due adozioni finite male, una delle quali durata due anni e dove avevano preso la sorella e mandato via lui. Era già muscoloso e picchiava tutti, mandando all'ospedale più di un educatore, motivo fondamentale dei suoi tanti allontanamenti. Avevamo all'epoca quasi tutti bambini piccoli e non ce la sentimmo di accoglierlo, troppo difficile per le nostre capacità e risorse. Prendeva inoltre psicofarmaci e non eravamo preparati a tale eventualità. Per due mesi abbiamo rifiutato le richieste dei servizi che invece insistevano costantemente, fino al giorno in cui mi dissero "o viene da voi o saremo costretti a mandarlo in una comunità terapeutica". Ce ne sono di buone, ma la maggior parte sono veri e propri manicomi per minori, quindi a quelle parole abbassai il capo e accettai di accoglierlo. Arrivò già arrabbiato, già consapevole della fine che avrebbe fatto anche in quella ennesima esperienza. La prima cosa che gli dissi fu che era entrato in una famiglia e che già gli volevamo bene, che eravamo diversi dalle strutture dove era stato in precedenza. La cosa gli venne ribadita da un altro ragazzo di sedici anni che gli disse "io sono stato in cinque comunità, qui ti vogliono bene veramente". S. poteva crederci, ma a tredici anni, dopo che ti hanno tolto alla tua famiglia che ti maltrattava, dopo che due famiglie ti hanno chiamato figlio e poi ti hanno dato uno spintone per mandarti via, dopo che nove case famiglia che dovrebbero quantomeno proteggerti ti hanno messo la valigia in mano, non puoi credere alle parole di nessuno. Passò due mesi relativamente calmo a d ispezionare il luogo, a cercare di capire dove si trovasse, ma poi alzò le mani, dapprima con me, ma fu una piccola scaramuccia, uno spintone che mi presi andando a finire contro un mobile e poi a gambe levate, ma lì finì. Qualche giorno dopo, quando non ero in casa, mise le mani addosso a Roberta e quasi la strangolò, se on era per il ragazzo di sedici anni forse oggi Roberta non sarebbe più con noi. Fu la prima ed unica volta che dovemmo chiamare la polizia perché non riuscivamo a placarlo, infatti la sua furia del momento lo portò a spaccare tutti i mobili della sua camera. Io ero fuori città ed il giorno dopo quando rientrai andai a parlarci. Era in camera sua, seduto sul letto, con gli abitini buoni e la valigia con quattro cose riempita e chiusa accanto a sé. Allora gli chiesi "dove vai? Parti per un viaggio?" Mi rispose "ovunque abbia fatto una cosa del genere mi hanno sempre mandato via". Replicai "Ti ho detto che qui non è come in altri posti, questa è una famiglia e ti vogliamo bene e nessuno ti manda via. Certo è che se rifai una cosa del genere saremo costretti a prendere provvedimenti seri, forse anche facendoti uscire da casa per entrare in una struttura dove ti curino, ma noi ti saremo vicini e ti raccoglieremo in casa a cure finite". Quel giorno S. toccò con mano la realtà, vide e credette.
Noi tutti siamo un po' così, dobbiamo toccare con mano, sbattere il muso per capire l'amore, dobbiamo perdere la persona che amiamo per capire quanto le volevamo bene. Così è capitato a me con la mia mamma. Si può sempre rimediare, anche davanti alla morte, perché ci sono tante forme di amore, ma uno solo è Amore vero, in qualunque forma lo esplicitiamo.
A volte sarebbe bello però credere senza bisogno di vedere. Ci risparmieremmo liti, cattivi pensieri, notti insonni, ma siamo uomini e dobbiamo toccare con mano.
Chi ha paura dell'affidamento potrebbe credere alle nostre parole e capire che ci sono aspetti talmente belli che non trovi in nessun altro rapporto umano, ma proprio perché non crediamo se non vediamo, diamo la possibilità a chiunque di venire a trovarci, vivere con noi un'ora, un giorno, una settimana o il tempo che desidera per rendersi conto di quanto sia bello accogliere un bambino, per vedere e credere all'affido.
Il problema, purtroppo, è spesso un altro, è l'egoismo, la paura di soffrire, la pigrizia di affrontare qualche altro problema, ma quanto bene potreste fare se abbandonaste questi cattivi pensieri e vi metteste in cammino. Parafrasando Ferradini "Non esistono leggi in amore, basta essere quello che sei, lascia aperta la porta del cuore un Bambino è già in cerca di te".