Omelia (30-12-2012)
Marco Pedron
Io ho una missione

Il vangelo di oggi ci presenta la Santa Famiglia. Sarà stata anche santa, ma non è che si capissero e che si comprendessero molto. Maria e Giuseppe non capiscono Gesù e di certo lui non è che faciliti di molto la cosa. Tre santi (S. Giuseppe, Gesù e S. Maria!) ma mica tanto dialogo in questa famiglia.

E questa cosa la ritroviamo spesso e in altre parti.
Giuseppe non capisce Maria e ci vorrà un angelo perché accetti di prenderla come sposa: "Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato da lei viene dallo Spirito Santo"" (Mt 1,19-21).
Maria non capisce Gesù. Un giorno lo va a trovare. Allora dicono a Gesù: "C'è tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle qui fuori, che ti cercano". E Gesù: "Mia madre? E chi è mia madre e i miei fratelli? Quelli che ascoltano la parola di Dio sono mia madre e i miei fratelli" (Mc 3,31-35). Non dev'essere mica stata tanto contenta Maria di un figlio così.
I familiari non capiscono Gesù. Tanto è vero che un giorno, visto tutto quello che si dice in giro ("è un indemoniato; è uno che va con i pubblicani e le prostitute, ecc."), "i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo, poiché dicevano: "E' pazzo (fuori di sé)"". Cioè vanno da Gesù per rinchiuderlo, per limitarlo.
Maria, i familiari e la gente tutta, inoltre, non capisce il comportamento di questo qui che si crede o che si comporta come un "maestro", un rabbì, un "inviato di Dio".

Sarà anche "inviato di Dio" ma come mai non è ancora sposato? Non è mai esistito un caso in tutta la Bibbia che un rabbì non sia sposato. Mosè, il grande liberatore aveva due mogli e due figlie (Es 2,21.22; Nm 12,1); Abramo oltre a Sara aveva Agar e Ketura (Geb 11,29; 16,3-4; 30,1-9); Giacobbe addirittura quattro (Gen 29,15.30; 30,1-9); Davide addirittura una decina, con una ventina di figli maschi "senza contare i figli delle sue concubine" (1 Cr 3,9); Salomone, poi, non ne parliamo perché ne aveva un esercito: 700 moglie e 300 concubine (1 Re 11,3).
L'uomo, nella Bibbia, è obbligato alla riproduzione. Tanto è vero che la Bibbia non conosce neppure il termine "celibe", non c'è, e la vergogna più grande (vedi Elisabetta) è non aver figli, infatti viene ritenuta una maledizione di Dio. Gen 1,28 era chiara: "Siate fecondi e moltiplicatevi".
L'uomo che vive senza una donna, dicono i testi ebraici, vive senza la Torah. E chi non si sposa viene considerato un morto. Si può pazientare fino al diciottesimo anno, massimo ventesimo ma poi la maledizione scende su di lui. E chi ha qualche problema "al membro" non può essere un ebreo: "Non entrerà nella comunità del Signore chi ha il membro contuso o mutilato" (Dt 23,2).
E perché Gesù non si sposa? C'è qualcosa in lui che non funziona? E siccome viveva da celibe, senza donna, e la cosa era sospetta, per questo Gesù dovrà dire: "C'è chi nasce evirato e chi si evira per il regno di Dio" (Mt 19,12).
In ogni caso nessuno lo capiva! Era proprio strano quel ragazzo... quell'uomo!

Il vangelo di oggi ci presenta la prima e unica volta in Lc in cui Maria parla a Gesù. Lc, tra l'altro, è l'evangelista che più esalta Maria: ebbene, l'unica volta in cui Maria parla a Gesù subisce una dura "ramanzina" e un duro rimprovero.
La Chiesa ci presenta questo vangelo a modello della festa della Santa Famiglia ma a dire il vero più che una santa famiglia sembra una famiglia sconclusionata, di scombinati. È un episodio dove nessuno ci fa bella figura.

Non ci fanno bella figura i genitori che perdono il figlio e non se ne accorgono! Se ne accorgono dopo una giornata, ma come si fa!
Non fa una bella figura Gesù: "Volevi rimanere a Gerusalemme? Potevi avvisarci, eh!", gli dicono giustamente Maria e Giuseppe. E quando i genitori lo trovano dopo tre giorni gli dicono: "Oh ma eravamo angosciati, ti cercavamo! Perché ci hai fatto questo?". Ma Gesù con la faccia tosta più grande del mondo prima li rimprovera: "Perché mi cercavate?". Poi li tratta da ignoranti: "Non sapevate che devo fare le cose del Padre mio".
Un giorno, alle elementari, un mio compagno chiese alla catechista: "Ma come mai non si sono accorti che avevano perso Gesù. Mia madre si accorge sempre di quando non ci sono!". La catechista aveva trovato una soluzione meravigliosa, forse influenzata dal fatto che una volta c'era la fila di banchi per i soli uomini e quella per le sole donne: "Vedi c'era la carovana degli uomini e delle donne. Così Giuseppe pensava che fosse con Maria e Maria pensava che fosse con Giuseppe (ps: bella comunicazione di coppia!)". Io l'avevo bevuta e ci avevo anche creduto.
Non fa una bella figura Giuseppe che non vede rispettata la sua autorità di padre né da parte di Gesù che "gli risponde indietro" ("Cosa vuoi da me!") ma neppure da sua moglie visto che è lei che interviene e non chi ne aveva il diritto e il dovere: il padre.
A quel tempo, dobbiamo ricordare, neppure c'era il concetto di genitori, tanto è vero che non c'era la parola "genitori", ma solo la parola "padre" (ab) e "madre" (em).
I bambini erano niente: era abbastanza comune, ad esempio, gettare un figlio nelle fondamenta della casa da costruire (1 Re 16,34) e i rabbini ebbero il loro da fare per convincere gli abitanti di Gerusalemme che non era necessario arrostire i propri bambini per offrirli al Dio Molok nella valle della Geenna.
La valle della Geenna è il luogo di "tofet" (=crematoio), santuario dove si offrivano sacrifici umani, in particolari bambini che venivano prima sgozzati oppure legati vivi all'altare dove venivano bruciati in onore del Dio Molok (Lv 18,21; 2 Re 16,3; 21,6; 23,10; 2 Cr 28,3; 33,6; Ger 7,31, ecc). La pratica era condannata dal Talmud ma succedeva lo stesso.
Il figlio doveva solo obbedire. La Bibbia suggerisce di usare le maniere forti con i figli: "Chi ama il proprio figlio usa spesso la frusta" (Sir 30,1); "Piegagli il collo in gioventù e battigli le costole finché è fanciullo" (Sir 30,12).
Ma osserviamo cosa succede?

Innanzitutto l'unico che ha un nome è Gesù. Degli altri si parla di madre e padre, ma non si dice né Maria né Giuseppe. E noi sappiamo: quando gli evangelisti non presentano il nome dei personaggi significa che sono personaggi rappresentativi. Cioè: potresti essere tu quel "padre/madre" lì.
Allora in questo episodio si parlerà di padre e di madre, di genitori ma non saranno mai nominati né Giuseppe né Maria.
E Gesù ha dodici anni: a tredici anni si diventava adulti. Gesù non lo è ancora, ma era uso far partecipare anche i ragazzi dodicenni al pellegrinaggio per abituarli al compimento del precetto obbligatorio l'anno seguente. E' un'età chiaramente indicativa: Gesù da figlio di suo padre e dei padri (della tradizione) adesso diventa figlio del Padre.

Lc poi dice che "i suoi genitori tutti gli anni si recavano a Gerusalemme per la festa di Pasqua. E che anche quando aveva dodici anni vi salirono di nuovo" e sottolinea "secondo l'usanza" (Lc 2,41-42).
Allora: questa famiglia (Giuseppe, Maria e Gesù) è una famiglia religiosa, molto religiosa. Segue, cioè, le tradizioni dei padri, come tutti (l'usanza). Ma ciò che Lc ci sta dicendo non è una cronaca dei fatti ma teologia.
Infatti Gesù non segue la tradizione dei padri ma il Padre. E questo è e sarà sconcertante non solo per la sua famiglia ma per tutto il popolo. Perché tutti si aspettavano il Messia in un certo modo e invece Gesù sarà completamente diverso.
Solo che Maria e Giuseppe lo sapevano già. Infatti quando il Signore aveva annunciato a Zaccaria la nascita di Giovanni aveva usato un'espressione clamorosa del profeta Malachia (Ml 3,23-24).
Cosa aveva detto questo profeta? "Il Messia è qui per portare il cuore dei padri verso i figli (il cuore è la mente) e dei figli verso il Padre". Cioè: "Il passato deve accogliere il nuovo ma anche il nuovo deve accogliere il passato". Ma quando l'angelo del Signore era andato da Zaccaria, cosa gli aveva detto? Che quel bambino (il Battista) era qui "per portare il cuore dei padri verso i figli" (Lc 1,17). E quello dei figli verso il Padre? Lc si è dimenticato un pezzo di citazione? No! E' l'antico che deve accogliere il nuovo, ma non il nuovo che deve accogliere l'antico.
Solo che i genitori ancora non hanno capito. Pensano che Gesù li segua, che segua la tradizione d'Israele. Non capiscono invece che saranno loro a dover seguire Gesù.

"Credendolo che fosse nella carovana, andarono un giorno in strada, poi lo cercarono fra parenti e conoscenti e non avendolo trovato ritornarono a Gerusalemme, per cercarlo" (2,44-45). "E avvenne che dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri" (Lc 2,46).
Lo stare in mezzo è immagine in cui la Bibbia presenta la sapienza di Dio: quindi Gesù viene presentato come la sapienza divina che "ascolta" ma che soprattutto "interroga".
"Solo che quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte" (Lc 2,47).
Questo stupore, questo essere fuori di sé è negativo. Cioè: non accettano le risposte di Gesù, tant'è vero che la prossima volta che Gesù entrerà nel tempio questi stessi maestri, i dottori della Legge, cercheranno di ammazzarlo.
Allora cosa sta facendo Lc? Lc ci presenta Gesù che parla di Dio in una maniera completamente nuova, non quella imposta e conosciuta dai dottori della Legge, ma quella che lui come figlio ha sperimentato.

Ed ecco la scena dell'incidente: "Al vederlo restarono stupiti" (Lc 2,48). I suoi genitori sono sbigottiti, esterrefatti, per ciò che vedono: no, non è secondo la tradizione; no, non è come loro (osserviamo come l'evangelista evita di nominare Maria o Giuseppe).
E qui Maria commette il primo errore. La madre gli ricorda il quarto comandamento: "Onora il padre e la madre" (che ha un senso tra l'altro completamente diverso da come noi pensiamo). Ma Gesù gli risponde con il primo: "Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altri dei all'infuori di me".
La madre, infatti lo chiama "figlio" (Lc 2,48) e usa il termine teknon che significa "quello che io ho partorito". Teknon viene da tikto che vuol dire "partorire" con una connotazione di dipendenza, di legame fisico che Gesù non accetta. Mai nel N.T. questo termine riapparirà applicato a Gesù. Cioè, per Maria (meglio per la madre, per ogni madre!) il figlio è qualcuno sul quale lei ha dei diritti e il figlio è qualcuno che ha dei doveri nei suoi confronti. Potremo tradurlo in italiano "bambino mio" o "figlio mio". Quindi non si adopera il termine greco che significa "figlio" (uios) ma "quello che io ho partorito", cioè qualcuno che in qualche maniera mi appartiene.
È il popolo d'Israele che pensa di avere dei diritti su Gesù ("Tu sei mio"), che pensa che Gesù abbia dei doveri nei suoi confronti.

Ma poi viene il secondo errore della madre: "Ecco, tuo padre e io angosciati ti cercavamo" (Lc 2,48). Se ci pensate un attimo la risposta di Gesù è assurda: "Perché mi cercavate?". "Come perché ti cercavamo? Perché tu non c'eri e noi eravamo preoccupati per te! Ovvio!". La risposta di Gesù è assurda storicamente ma non teologicamente: Gesù, infatti sta prendendo le distanze dalla tradizione: "Perché mi cercavate nella carovana della tradizione? Lo sapete che io non sono lì! Perché mi cercate lì?".
Ma poi Gesù dice: "Non sapevate..." (Lc 2,49): cos'è che dovevano sapere? La madre ha commesso l'errore di dire "tuo padre e io". "No, attenta Maria, ricordati che mio Padre non è il signor Giuseppe. Il Padre mio è qualcun altro. E tu Maria, te lo ricordo, lo sai molto bene! Ti ricordi cosa ti ha detto l'angelo? Te lo sei già dimenticato?".
Dobbiamo ricordare che a quel tempo il padre:
1. Dava la vita (era il suo seme che era vitale; la madre, si credeva, era solo un contenitore).
2. Dava il nome. Maria ed Elisabetta, infatti, che mettono il nome ai loro figli sono le donne che rompono con la tradizione perché i figli saranno deputati proprio a questo.
3. Dava la tradizione religiosa: era il padre che aveva il compito di insegnare e passare le leggi religiose.
Gesù è chiaro: io non sono in quello di Giuseppe o delle tradizioni ma (lett.) "devo essere in quello del Padre mio" (Lc 2,49)
Qui Gesù mette subito le cose in chiaro: "Mio padre non sei tu, Giuseppe, ma Dio". A Lc interessa dire che Gesù, fin dall'inizio, si stacca dalle antiche tradizioni e annuncia un mondo nuovo. Gesù ha una sua vocazione ("Padre suo") e la seguirà fino in fondo. Questa sarà la sua unica fedeltà.

Ed ecco il finale: "Ma essi non compresero le sue parole" (Lc 2.50). E possiamo anche capirli! E questo sarà il motivo conduttore di tutto il vangelo: Gesù nessuno lo capisce: né i suoi genitori, né sua madre, né le autorità religiose, né le istituzioni. Gli unici a capirlo sono quelli lontani da Dio.
Maria dice, nel versetto successivo che noi non abbiamo letto (Lc 2,51) "serbava tutte queste cose nel suo cuore". Questa è la grandezza di Maria: non ci capisce niente ma rimane aperta. Maria accoglie questi semi, anche se sono sconosciuti o assurdi: un giorno fioriranno.

Cosa può dire a noi questo vangelo?
Io nasco da mio padre e mia madre: loro mi hanno dato la vita ma non sono la mia vita. Li ringrazio, li onoro per un dono che non potrò mai ricambiare ma io ho un compito e una missione.
E quando un genitore fa di suo figlio la sua ragione di vita vuol dire che lui ha perso la sua ragione di vita. Cioè: poiché non ha ragioni per vivere fa di suo figlio la sua ragione di vita. Ma fare di mio figlio la mia ragione di vita fa di me una persona senz'anima, senza missione, e di lui un dipendente a mio servizio (visto che la mia vita dipende da lui).
Noi abbiamo delegato la vocazione ad alcune persone (preti, suore, ecc.): come se solo loro avessero una chiamata. Così ci siamo messi a posto la coscienza ma non il cuore: perché siamo tutti così tristi? Io ho un'anima e la mia anima è qui per una missione, uno scopo. Tu sei chiamato.
Tu puoi raccontartela ma in ogni caso tu non sei qui a caso. Tu puoi far finta di niente e fare tutt'altro nella vita, ma la tua anima desidera essere/fare/vivere ciò per cui è creata.
La felicità è scoprire ciò per cui io ci sono: se sono un albero di mele la mia felicità sarà essere un albero di mele e se sono un albero di ciliegie quella sarà la mia unica felicità, la cosa che farò meglio e l'unica dove io darò veramente frutti.
Siamo infelici perché pensiamo di essere qui per caso (senza scopo). Siamo dispersi perché non sappiamo dove andare (una vocazione è un riferimento chiaro). Siamo annoiati, vuoti, perché scegliamo a casaccio, perché non sappiamo cosa ci serve per davvero, ciò che scegliamo. Siamo pieni di paura perché non abbiamo la forza della vocazione (tutto è possibile per chi sa dove andare).
Le persone fanno delle cose nella vita ma vivere la propria vocazione è un'altra cosa!

"Maestro, disse il discepolo, come posso essere veramente di aiuto a questa umanità?". "Vuoi aiutare un uomo per un mese? Dagli dei soldi", rispose il maestro. "Vuoi aiutarlo per degli anni? Dagli un figlio". "Vuoi aiutarlo per sempre? Dagli una missione".

Ad un Concorso per dilettanti alla Opera House di Harlem sale sul palco una sedicenne goffa e magrolina. "Ecco a voi Miss Ella Fitzgerald che ballerà per voi... un momento... un momento... cosa mi dici, dolcezza? Mi correggo, signore e signori: Miss Ella Fitzgerald ha cambiato idea. Non vuole ballare, vuole cantare...". Dovette concedere tre bis e vinse il premio.
E quando fu intervistata, anni dopo, disse: "Non fui io a scegliere. Fu la mia anima che mi scelse e io nient'altro la segui".

"Io devo occuparmi delle cose del Padre mio": tu hai una vocazione, non dimenticartelo mai!


Pensiero della Settimana


Una persona seria non sta a perdere tempo
nel formulare l'opinione della maggioranza.
(Godfrey Hardy)