Omelia (01-01-2013)
Riccardo Ripoli
Andarono dunque senz'indugio

Se ti invitano ad una festa dove ci sono attori e attrici, oppure dove puoi conoscere qualche bel ragazzo o ragazza da sposare, o dove ci sono i tuoi capi e devi metterti in mostra non ci pensi due volte e ti precipiti a quell'incontro, ma se a chiamarti è qualcuno che è povero, qualcuno che ha bisogno di te, qualcuno al quale dare senza ricevere nulla di materiale in cambio, allora il discorso cambia. Ci si pensa due o tre volte, si guardano le alternative e spesso si diniega l'invito perché troppo oneroso, noioso, privo di attrattive o di possibili risultati per la nostra vita.
Il Signore spesso ci chiama, come hanno fatto gli angeli con i pastori quando nacque Gesù, o come l'Angelo Gabriele che chiamò Maria ad una maternità un po' particolare. Da uomini e donne avrebbero potuto pensarci, riflettere, vagliare i pro e i contro e magari rifiutare il cortese invito ringraziando educatamente.
Così facciamo noi. Quando il Signore ci chiama non siamo come i pastori che "senza indugio" andarono a trovare un bambino povero, nato in una mangiatoia, lontano da casa. Non siamo come loro che lasciarono tutto perché sentirono la chiamata, eppure le pecore erano tutto ciò che avevano, ma lasciarono tutto per andare dove l'Angelo aveva indicato loro. Non credo nemmeno abbiano capito con la ragione, ma capirono con il cuore ed è così che il Signore ci vuole. Pronti a dire si, pronti ad andare, pronti a lasciare tutto e tutti per abbracciare una nuova vita, non priva di dolori, non priva di difficoltà. Stare al fuocherello a raccontar storie, nella tranquillità di una notte stellata, stare con i propri amici, parenti, abitudini è sicuramente più facile, ma lasciare tutto e andare "senza indugio" è sicuramente più appagante perché si va verso l'ignoto ma fidandosi di Dio e della Sua chiamata.
Il Signore chiama ognuno di noi, quando una volta nella vita, quando tutti i giorni, ma l'unica cosa che vuole è che noi si sia pronti a dire si "senza indugio", senza scappare per tornare al fuoco se ci si spaventa per un tratto di strada buio.
Per i miei ragazzi non è facile vivere con noi una volta raggiunta la maggiore età perché tante sono le regole. Siamo una famiglia grande e grandi sono le necessità alle quali dobbiamo provvedere tutti insieme. parto poi dal concetto che se tu regali il pesce a qualcuno, quello mai potrà imparare a pescare, ma se gli insegni a pescare, un giorno sarà autonomo e indipendente. Può darsi che qualcosa non piaccia loro, ma quello che offriamo non sono cose materiali ma valori, affetto, insegnamenti come la tenacia, il non darsi per vinti davanti ad un ostacolo. Qualcuno arrivato a diciotto anni, così come ha fatto Niky, scappa per raggiungere quelle cose materiali che non ha mai avuto, per avere maggiore libertà, ma prima o poi si renderà conto che quelli non sono i valori della vita. Già ora chiama spesso, manda messaggi, cerca contatti con noi chiamandoci ancora "babbo e mamma", eppure ha tutto ciò che desiderava, vacanze sulla neve a Natale, vestiti alla moda, presto forse il motorino e chissà cos'altro, ma allora perché si volta indietro se tra le cose che lasciato non avesse qualcosa di importante?
Con l'affidamento i ragazzi a diciotto anni hanno un'alternativa, quella di tornare alle loro famiglie senza valutarne i pro e i contro, guardando a loro come la porta per la fuga, senza pensare che ben altri saranno i problemi che dovranno affrontare.
Non mi pento delle nostre scelte fatte in tanti anni di sbagli e di passi indietro e laddove ci criticano perché lasciamo scarsa libertà ai ragazzi rispondo che la la libertà devono conquistarla con la fiducia, con il buon comportamento con il fare bene il loro dovere, sia esso andare a scuola, sia esso lavorare. Troppi genitori lasciano i figli troppo liberi di fare ciò che vogliono e poi però vengono da noi a piangere per capire come riagganciarli, come aiutarli.