Omelia (04-04-2004) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Aria di primavera, cioè di salvezza Aria di festa sul volto di tutti, in questa domenica che vede le nostre chiese particolarmente affollate. Vi è come un senso di soddisfazione e di gioia che ci motiva a frequentare la chiesa come mai nelle domeniche precedenti, sicché anche le cappelle o le rettorie solitamente poco frequentate vengono prese oggi d'assalto in modo del tutto speciale. Ma che cos'è che ci ha attirati tanto in chiesa? La Domenica delle palme. Cioè una "novità", qualcosa di diverso dalle solite Mese domenicali che infrange la routine della festa ordinaria per via di quel ramoscello di ulivo o da quella palma decorata che rechiamo in chiesa. E come dicevamo all'inizio è per noi segno di festa. Innanzitutto perché ci accorgiamo che intanto sono terminate le giornate uggiose e desolanti dell'inverno ed è subentrata l'aria della Primavera; in secondo luogo, perché sappiamo che fra sette giorni è Pasqua e quindi nei giorni che seguiranno avranno fervore i preparativi per festeggiare questa giornata in allegria e ciò non può che rallegrarci. Un po' come diceva, analogamente, Carducci nel descrivere i "retroscena" del giorno di San Martino: appena si avverte l'odore del vino, per le strade ci si rallegra tutti quanti. Ebbene si, ci stiamo preparando ad una festa che, alla pari del Natale, anzi con particolarità di attenzione, non va' trascurata affatto, neppure nelle tavole o nei momenti di allegria insieme ed è pertanto legittimo che ad essa ci si predisponga con fare di entusiasmo e di interiore esultanza. La giornata della Resurrezione di Cristo infatti merita questo e altro! Tuttavia occorre anche che ci si soffermi a valutare tutti gli elementi che precedono codesta resurrezione; in pratica bisogna riflettere sul fatto che la resurrezione di Cristo è stata preceduta da una lunga serie di indescrivibili sofferenze a tutti i livelli: fisico, morale, spirituale... Infatti nostro Signore Gesù Cristo non è stato esente dalla paura della sofferenza fisica, la quale- non ce ne accorgiamo mai- è molto più ossessionante del timore della morte, visto al giardino del Getzemani ha tremato di angoscia sudando freddo; ha esperito in questi momenti difficili la vigliaccheria dei suoi compagni che lo hanno lasciato solo, il rinnegamento da parte di colui che aveva istituito capo degli apostoli, e perfino l'abbandono (presunto) del Padre sulla croce; ha provato l'umiliazione di essere arrestato come un delinquente dopo aver invece amato gli altri attraverso miracoli e opere buone; ha subito la violenza del flagello sulle sue spalle, il copricapo spinoso che gli faceva grondare sangue già prima di essere crocifisso e addirittura il disprezzo da parte della Legge che lui stesso, come Dio, aveva istituito visto che essa afferma: "maledetto chiunque pende dal legno". Per non parlare poi del mezzo di supplizio con cui ha dovuto affrontare la morte... La croce. La fucilazione e la camera a gas oggi sono condanne molto più gradevoli rispetto a quella che ti costringerebbe per alcune ore ad assumere una posizione di stiramento e appiattimento dei muscoli sul legno, per di più inchiodato ai polsi ( non alle mani: impossibile.) e ai piedi in modo tale che ti viene subito a mancare il respiro... Tutto questo con spirito di umiliazione, sottomissione e sopportazione, come già preannunciava il carme del Servo Sofferente di Yahvè in Isaia. E vale anche la pena soffermarsi sul fatto che si tratta di Dio. O meglio, del Dio onnipotente che ed eterno che viene esaltato mentre fa ingresso a Gerusalemme dall'ovazione della folla che gli getta addosso rami d'ulivo e palme, ma che pur di venire a salvare l'uomo è disposto a spogliare se stesso (II Lettura) umiliandosi e annichilendosi fino al punto da essere maltrattato in modo così increscioso. E osserviamo un'altra cosa ancora: il sangue. Esso anche nel linguaggio comune indica morte e violenza, ma solo nel caso di Gesù (e dei Santi che lo seguiranno) attesta eloquentemente una pedagogia di salvezza e di redenzione; infatti nell'Antico Testamento uccidere una vittima animale e aspergerne il sangue costituiva il sacrificio di espiazione dei peccati del popolo, mentre adesso è lo stesso Cristo a presentarsi quale vittima di espiazione e il suo sangue è il prezzo della nostra liberazione dal peccato (Eb 9). Un Dio che si fa ammazzare in modo così barbaro pur di salvare l'umanità dai peccati e donare la salvezza! Strabiliante nonché inaudito ed irrazionale per quanti non credono, dirà poi San Paolo... E' giusto quindi che ci si prepari con aria di gioia alla Resurrezione, perché fra l'altro in essa potremo notare la certezza delle ricompense proporzionate alle sofferenze, umiliazioni, ingiustizie, percosse e oppressioni che avremo subito da parte degli; tuttavia è anche necessario che ci immedesimiamo progressivamente nelle sofferenze di Cristo, seguendolo di passo in passo tramite la contemplazione liturgica dell' l'Ultima Cena del Giovedì Santo, della croce del Venerdì, il Sepolcro ecc... e condividendo con Lui il dolore e lo strazio del sacrificio, della rinuncia e dell'annientamento, magari con una giornata di digiuno. E riflettere sul significato della croce nella nostra vita; essa è necessaria per la nostra realizzazione piena in qualsiasi circostanza e qualunque sia l'obiettivo che ci proponiamo. Sarebbe fin troppo facile ottenere il successo immediato in ogni cosa senza attraversare l'esperienza della prova, la costanza della lotta, la tenacia della perseveranza e soprattutto la calma e la mitezza nel sopportare le critiche e le derisioni, poiché proprio queste sono le virtù che caratterizzano l'uomo in quanto tale e lo rendono meritorio di ricompense in senso pieno. E' bello infatti aver raggiunto una posizione o un determinato fine di vita dopo aver attraversato sentieri tortuosi, giacché ti fa comprendere l'utilità delle tue ansie e delle tue lotte e che vale sempre la pena abbracciare l'avversità ancziché eluderla. A questo serve la Settimana Santa che si apre oggi. |