Omelia (27-01-2013) |
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie) |
Commento su Neemia 8.2-4.5-6.8-10; Salmo 18; Prima Corinzi 12,12-31; Luca 1,1-4; 4,14-21 "Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore. Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato»" (Lc 4,16-21). Mi sembra che questo annuncio non sia casuale: il messaggio di libertà rivolto ai poveri e agli oppressi, agli ultimi della terra, è troppo costante nella predicazione del Cristo per essere considerata di dettaglio. Poi qualcuno potrà anche farne una lettura intimistica, dire che i poveri sono intesi non dal punto di vista sociologico, che si può essere ricchi ed essere liberi...ma è una lettura che non regge soprattutto quando ai termini povertà, oppressione, prigionia si collega l'altro termine che oggi trova nell'Evangelo la sua sanzione definitiva: liberazione. Gesù è venuto a portarci la liberazione, e la porta ai poveri, ai prigionieri e agli oppressi perché è chi ha toccato il fondo che deve essere liberato ed aiutato a poco a poco a risalire. La liberazione è la legge costitutiva della storia, e chi rifiuta questa linea del progredire storico nel nome di una visione personale e politica del mondo fondata sull'egoismo e sulle scelte corporative, non solo si pone automaticamente fuori dalla storia, ma non riesce neppure a cogliere, in prospettiva cristiana, la centralità stessa del messaggio del Cristo che non è moralisticamente destinato a dettare norme di comportamento, ma - ben di più - a suggerire un senso di marcia, una direzione allo stesso divenire cosmico, all'evoluzione del mondo, al movimento della vita verso stadi più complessi dell'esistenza. È in questo senso che la legge della liberazione proclamata dal Cristo è davvero universale. Ancora oggi molti cristiani, usi a civettare con ogni potere (religioso, politico, economico, finanziario) vivono nella convinzione che liberazione e progresso siano due strade parallele (per alcuni addirittura incompatibili) destinate a non incontrarsi mai: chi parla di "liberazione" è, per loro, lo "scemo del villaggio", quello che si nutre di illusioni e coltiva le utopie. Loro, invece, e solo loro, sono le persone serie, concrete, senza tanti grilli per il capo. Loro "sanno" che, a dispetto di quegli ingenuotti di ambientalisti, il progresso descrive una curva sempre in crescita, sarebbe addirittura illimitato se quelle anime belle non si dessero da fare per interromperlo, quanto meno per mettergli i bastoni tra le ruote. Tutto si tiene per questo modello di cristianesimo timido e disposto a repentini cambi di fronte, da una mano la vendita di armi ai paesi poveri, dall'altra l'elemosina dell'ultra superfluo. Un progresso vissuto come mito alienante, una liberazione intesa sospettosamente sulla base delle proprie categorie ideologiche e conservatrici. La liberazione portata dal Cristo e narrata dall'Evangelo viene così derubricata a categoria moralistica: liberazione dal peccato che è in noi (e nel tempo della "sacra" inquisizione anche dei peccatori), e non dal male - la fatica - del mondo, un male ed una fatica irredimibili con le nostre sole forze umane. Un cristianesimo dell'evasione, del compromesso, contro un cristianesimo dell'Incarnazione. "Invece di tener fermo questo punto centrale di una religione che ha il proprio fulcro nell'Incarnazione - scriveva Emmanuel Mounier - abbiamo lasciato a poco a poco che il nostro concetto di «spirituale» si contaminasse con quello eclettico ed aereo di un idealismo per il quale «spirituale» e «morale» significa spirito senza corpo, buona volontà senza volontà, cultura senza terra...". La cultura senza terra non è quella delle nostre famiglie, soprattutto di quelle che faticano ad arrivare a metà mese. Io credo che proprio a queste famiglie l'Evangelo di oggi sia dedicato, con uno sguardo di compassione da parte di Dio, e dunque compassione vera, non quella di chi batte loro una pacca sulle spalle e nel contempo si permette di giudicare, dall'alto della propria verità, le loro fatiche. Fatiche spesso, quasi sempre, causate da un sistema economico che, per timidezza sociale, spesso le nostre comunità cristiane non colgono, impegnate in altri ben più seri gargarismi moralistici, e dunque non hanno alcuna intenzione di contribuire a cambiare. Scriveva, ma sono ormai trascorsi quasi trent'anni, il mai sufficientemente compianto cardinale Arns: "Un sistema economico non può avere come sottoprodotto la creazione di una razza inferiore o la morte di milioni di persone. E il peggio è che chiunque richiami l'attenzione su questa situazione viene considerato sovversivo. Ma sovvertire significa solo girare la situazione e guardarla dall'altro lato. Rispettosamente sostengo che questa situazione deve essere guardata dall'altro lato. I poveri non sono una minaccia, sono un appello per cambiare un sistema ingiusto". Non esistono parole più puntuali per le nostre famiglie. Traccia per la revisione di vita 1) Quando predichiamo l'Evangelo, quando "facciamo" catechesi, chi annunciamo? Noi stessi, la nostra cultura, i nostri pregiudizi, o il Cristo crocifisso che ha fatto la scelta dei poveri, dei deboli, dei peccatori? 2) La parola dell'evangelo è, per noi, parola di evasione o parola di liberazione? 3) Che cosa facciamo all'interno della nostra comunità cristiana per evangelizzare la parola di liberazione portata dal Cristo? Luigi Ghia Direttore di Famiglia Domani |