Omelia (20-01-2013) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Natale e Pasqua si sposano a Cana Non è trascorso molto tempo dalla conclusione del tempo di Natale, che ci aveva introdotti nel mistero dell'Incarnazione del Figlio di Dio che è il Dio con noi e già allora si gustava il fascino della salvezza dataci nella novità assoluta dello stesso Verbo. Il miracolo di cui parla il brano evangelico di oggi rievoca in un certo qual modo quello stesso mistero e contemporaneamente ci da' un saggio di quello ancora più esaltante dalla Pasqua. Forse è il caso di dire che Natale e Pasqua si incontrano a Cana di Galilea. Ma andiamo con ordine e osserviamo quanto avviene durante questo sposalizio. Le feste nuziali nell'antico Israele duravano 8 o 9 giorni ed era inverosimile che in una circostanza come quella venisse a mancare il vino, elemento anche nella Bibbia emblematico della gioia e della prosperità. Senza il vino, non era possibile festa alcuna. Eppure, allo scadere dell'ottavario delle nozze, viene proprio a mancare questa bevanda immancabile e insostituibile nei banchetti. Sarebbe stato un vero disastro se Gesù non fosse intervenuto, ma a dire il vero sarebbe stato ancora più pernicioso se la madre di Gesù non avesse preso l'iniziativa di porre il problema al Figlio: "Non hanno vino"- e in questa sua sollecita interferenza non si può non evincere quanto sia legittima l'intercessione generale di Maria nei nostri rapporti con Cristo. A questo punto segue una risposta sorprendente da parte di Gesù: "Che c'è fra me e te o donna?" Altrimenti tradotta: "Che cosa vuoi da me o donna?" Espressione che potrebbe suscitare sorprese e perplessità visto che un figlio non si rivolgerebbe mai alla propria madre con quei termini così seccati e lapidari ("donna") tantomeno nel corso di una festa, dove la consanguineità è ben nota a tutti. Ma perché possiamo sciogliere l'enigma, occorre che collochiamo Gesù, Figlio di Dio, nel contesto vivo del suo tempo, considerando anche la sua posizione. "Donna" nell'Antico Testamento è un appellativo che non di rado indica il popolo d'Israele. Quando Gesù si rivolge quindi a Maria con una simile espressione, egli vede in sua madre il popolo d'Israele che è giunto alla pienezza (R. Penna), perché il Messia è finalmente arrivato. Il tempo propizio è giunto perché Dio si è fatto uomo, il Verbo si è incarnato per la nostra salvezza e il Messia preannunciato dai profeti è ora in mezzo ai suoi. L'"ora" di Gesù, cioè il tempo propizio è già arrivato, tuttavia non è ancora giunto alla pienezza definitiva. Questa si verificherà al momento del suo arresto, quando per volontà del Padre subentrerà l'"ora" propizia nella quale le tenebre avranno ragione di lui perché venga consegnato alla croce e quella sarà la circostanza suprema della salvezza, perché la croce sarà il luogo del riscatto universale. In parole povere l'ora di Gesù è già venuta, certo, ma ancora non nella forma esaustiva e culminante. E' come se Gesù dicesse a Maria (al popolo d'Israele): "Popolo del Signore, è giunto il momento, ma ancora non è la pienezza definitiva. Essa avverrà quando le tenebre avranno la meglio su di me e il vero miracolo lo vedrete allora.... Quale sarà? Quello del passaggio dalla morte alla vita." E' quello infatti il motivo fondamentale della gioia, la vittoria di Gesù sul potere delle tenebre, sulla morte e sul maligno, la quale avrà luogo solamente alla fine, quando per volontà del Padre egli starà sottomesso agli aguzzini e abbandonato da tutti. Per ora non sarebbe il momento. Evidentemente però Maria concepisce che Gesù, quel momento ancora lontano e ignoto può benissimo anticiparlo adesso, durante una sontuosa festa di nozze. Infatti che cosa simboleggia un banchetto di festa se non l'unione sponsale fra Dio e il suo popolo? Che cosa esprime essa se non il vincolo di unione consolidata fra Dio amore e il popolo fedele all'amore? Il profeta Isaia (I Lettura) è solo uno dei tanti personaggi che tratteggiano questo sposalizio fra Dio e il suo popolo: "... Ma tu sarai chiamata mia gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la sua terra avrà uno sposo. Si, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te." Quanto più l'uomo si smarrisce a motivo del peccato, tanto più Dio va alla sua ricerca atteggiandosi come un fidanzato che vuole sancire le nozze con l'amante agognato eppure riluttante: Dio ama il suo popolo e se questi manca di fedeltà nei suoi confronti, egli non si stanca di rinnovare la sua fedeltà comportandosi nei suoi confronti come uno sposo. In Cristo Dio sposa definitivamente l'umanità, realizza il vincolo di unione consolidato nell'amore, sancisce il patto nuziale imperituro e ben definito e a ragione anzi la Chiesa stessa potrà essere definita "sposa di Cristo". Ma se in una comune festa di nozze è necessario consumare il vino, come non bere il "vino nuovo" della gioia e della festa che è Cristo? E' presto fatto: sei giare di pietra, destinate alle abluzioni rituali dei giudei non serviranno più a tale scopo, ma dovranno contenere il vino della gioia. Con l'avvento del tempo propizio di Gesù infatti ha fine il tempo delle prescrizioni rituali esteriorizzanti e dei melensi usi purificatori propri dell'antichità: con lo Sposo c'è la novità di vita, siamo tutti creature nuove le cose di prima sono passate, ne sono nate di nuove (2 Cor 5, 17 - 18). Con il mutare della natura delle acqua, muta anche la legge fatta di prescrizioni e di decreti L'acqua diventa insomma vino non già per soddisfare una necessità gastronomica o per esibire un qualsiasi atto spettacolare di magia, ma solamente per due motivi: 1) Il vino nuovo rappresenta Cristo, la vera gioia, unico mediatore della festa nuziale continua fra Dio e l'umanità; 2) La sua presenza adesso è preludio della gioia futura dell'ora (Kairos) propizia del passaggio dalla morte alla vita. Questa sarà l'"ora" delle tenebre, nella quale il maligno, che nel deserto fugge sconfitto e impotente di fronte alle risposte di Gesù in seguito alle tentazioni attuate nei suoi confronti, adesso ha il sopravvento su di lui: per volontà del Padre in quell'"ora " si realizzerà l'immolazione del Figlio, che sarà necessaria per la Resurrezione. Il miracolo della trasformazione dell'acqua in vino è un invito ad intraprendere la scelta di Cristo nell'ottica della gioia propria di uno sposalizio ed è per ciò stesso un imperativo alla vita nella libertà e nella letizia, abbandonato ogni compromesso con il condizionamento e con la schiavitù. Al legalismo e alla sterile formalità non può non subentrare la personale partecipazione nella libertà e nella corresponsabilità ma è soprattutto necessario che questa sia contrassegnata dalla trasparenza della gioia che ci è data dalla sola appartenenza a Cristo. |