Omelia (20-01-2013)
don Luciano Cantini
Nel segno della festa

Fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù
La forza di questo episodio sta proprio nel fatto che Giovanni lo racconta come primo dei segni compiuti da Gesù. Se parlassimo di "miracolo" ci troveremo davanti a qualcosa di assurdo superfluo pensando a quanti malati, storpi, bisognosi o affamati c'erano al tempo di Gesù. Se invece leggiamo l'episodio come segno, allora siamo invitati a guardarne i molteplici aspetti ed i singoli particolari come altrettanti massaggi che arrivano fino a noi e alla nostra esperienza di oggi.

Vi fu una festa di nozze
Le nozze, al tempo di Gesù, come oggi, sono segno - diciamo meglio sacramento - delle nozze tra Dio e il popolo d'Israele, tra Cristo e la Chiesa: come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te (Is 62,5); è il mistero grande (Ef 5,32) di cui parla San Paolo. Non possiamo pensare questa relazione se non nell'ambito bello, gioioso di una festa.
Perché nel nostro rapporto con Dio dobbiamo sentirci ossequiosi, sottomessi, rinunciatari, umiliati quasi spaventati da un Dio che incombe sulla nostra storia e la nostra vita? In quante chiese settecentesche pende l'immagine di un occhio con la frase minacciosa: Dio ti vede!

«Non hanno vino»
Il vino è finito ed è finita la festa, è finita una storia di amore che da Abramo ha attraversato i secoli. Quante volte il Signore Dio ha ricominciato difronte alle infedeltà della sua sposa: per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia (Is 62,1). Le nozze non sono un dato di fatto perché si è conclusa una celebrazione ed un bacchetto; le nozze hanno bisogno della gioia della vita messa in comune, della festa di ogni giorno, del vino sempre disponibile sulla tavola della relazione. Dov'è la festa in Israele, dove nella Chiesa, dove è stato nascosto il vino della gioia?

Sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei
Anche le anfore per la purificazione sono vuote, il rito è diventato una ripetizione formale di gesti e di parole. Quando una religione (ebraica, musulmana, cristiana...) diventa ritualità corre il rischio di svuotarsi come le anfore di Cana; diventa inutile, priva di significato. Così è Israele nell'immagine-segno che Giovanni ci tramanda ai nostri orecchi perché vigiliamo sul senso della nostra fede che non diventi dura come la pietra e vuota come quelle anfore.

L'acqua diventata vino
Gesù è venuto al mondo proprio per riempire di nuovo quelle anfore e rimettere in moto la festa con il dono del vino buono. Non un vino qualsiasi, non un buon vino, ma il vino buono. Non ci troviamo di fronte ad un miracolo banale ma davanti ad un segno che coinvolge la mia fede e la mia relazione con Dio, che mi chiede di ritrovare i fondamenti autentici del mio rapporto gioioso con Lui e con gli altri. Il vino dona l'ebrezza, forse limita il ragionamento e il calcolo, mette leggerezza nella vita. L'ebrezza muove il cuore, fa incontrare le persone, supera i diaframmi, attenua le negatività, il nemico diventa amico, ci si apre ad una solidarietà meno razionale ma carica di bontà. Non è superficialità, ma libertà di guardare gli altri e la storia con occhio benevolo.