Omelia (20-01-2013) |
mons. Antonio Riboldi |
Un racconto che continua ancora oggi Le feste natalizie hanno puntato tutta l'attenzione sull'incredibile grandezza del cuore di Dio che viene incontro ai bisogni dell'umanità mandandoci Suo Figlio Gesù, nato da Maria Vergine a Betlemme. Non so se tutti siamo riusciti a spalancare le nostre porte a Maria, che chiedeva ospitalità nella nostra vita, per deporre Gesù nella mangiatoia del nostro cuore: un cuore cioè liberato da tutto ciò che non è bene e amore, per fare posto a Chi solo merita il titolo di Amore e da cui solo ha origine ogni autentico amore che fa vivere l'uomo. Può essere capitato che alcuni abbiano sperimentato quanto dice l'Evangelista Matteo: ‘Per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà'. Commenta sant'Agostino: ‘La freddezza dell'amore diventa il silenzio del cuore: l'ardore dell'amore invece è il grido del cuore. Se resta sempre vivo l'amore, tu gridi sempre; se gridi sempre, tu desideri sempre; se desideri hai il pensiero rivolto alla pace.' Del primo affacciarsi alla vita di Gesù, Dio-Uomo, i Vangeli ci hanno detto ben poco; semplici tratti, ognuno dei quali però ci parla di come Dio educa all'amore e manifesta il Suo amore: da Betlemme a Gerusalemme nella circoncisione; dalla fuga in Egitto alla ‘fuga di Gesù' nel tempio di Gerusalemme a 12 anni. Poi cala un silenzio profondo fino all'inizio della predicazione. E' un silenzio in cui Dio non ha voluto che curiosassimo, perché era il tempo della ricerca, della preparazione, della conoscenza. In Gesù c'era tutto l'uomo. Quello stesso che dal rifiuto dell'amore di Dio aveva attraversato i secoli scompigliandoli con la sua follia (quella di chi ha perso di vista la verità, seminando solo infelicità). Un uomo che sapeva solo gridare il suo desiderio di Dio, la sua nostalgia, con la preghiera di Agostino: «Signore, ridonati a noi, perché ne abbiamo bene. Senza di Te, Signore, stiamo male, ma tanto male. Insegnaci a cercarTi e Tu mostrati quando Ti cerchiamo. Che Ti cerchiamo, Signore, desiderandoti e ti desideriamo cercandoti: che ti troviamo amandoti e ti amiamo trovandoti». E nello stesso tempo c'era Dio con le mani tese verso quest'uomo triste fino alla disperazione. Dio che raccoglie i fili dispersi di quella matassa impazzita, di una storia continuamente intessuta dai desideri e dai rifiuti dell'uomo alla passione irrefrenabile di Dio. Deve essere stato stupendo vivere vicino a Gesù, Maria e Giuseppe in quel silenzio così lungo: nella semplicità della vita familiare, nella preghiera, nella fatica quotidiana, nei lunghi silenzi contemplativi, nei dialoghi che certamente ci saranno stati per «leggere» la storia di Dio tra gli uomini nella Bibbia. Ed anche nei momenti oscuri, della non comprensione, del dubbio; come ormai sappiamo questi momenti ci furono per Maria. Molto probabilmente anche per Giuseppe, di cui tanto poco comunque conosciamo. C'eravamo anche noi: perché di noi era pieno il silenzio di Nazareth. E venne il giorno in cui Gesù cominciò a «fare la volontà del Padre»; che era il desiderio di amarci, di farci suoi figli. Il giorno in cui Gesù lasciò Nazareth per mettersi sulle vie dell'uomo: fu il giorno più bello dopo la stessa creazione. Dio tornava a camminare ed a stare tra gli uomini, cercandoli, questa volta, non per smascherare la loro disobbedienza (come fu nel paradiso terrestre), ma per prenderli in braccio, come pecore ferite, per ricondurli ai buoni pascoli. Una ricerca che è un capitolo d'amore quotidiano, silenzioso, che nessun libro riesce a contenere, che nessuna parola mai riuscirà ad esprimere compiutamente. Perché l'uomo capisse, accogliesse la felicità, Gesù annuncia la buona novella: quella cioè del Padre che ci ama alla follia e per farci tornare nella sua casa manda addirittura tra noi suo Figlio, fino a sacrificarLo sulla croce perché in Lui tutto ciò che in noi era morto risuscitasse. Tanto grande l'inizio dell'opera di Cristo che così lo vede Isaia: «Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi darò pace finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. Allora i popoli vedranno la sua giustizia, tutti i re la sua gloria: ti si chiamerà con un nome nuovo che la bocca del Signore ti indicherà. Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. Nessuno ti chiamerà più "abbandonata", né la tua terra sarà più detta "devastata" ma tu sarai chiamata "Mio compiacimento" e la tua terra "sposata", perché il Signore si compiacerà di te e la tua terra avrà uno sposo." (Is. 62, 1-5) E come a voler spiegare queste parole che sanno di una promessa di matrimonio tra Dio e l'uomo, un matrimonio a cui Dio sarà fedele per sempre, Gesù compie il suo primo miracolo a Cana durante una festa di nozze col mutare l'acqua in vino. "Ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la Madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: ‘Non hanno più vino'. E Gesù le rispose: ‘Che ho da fare con te, o donna. Non è ancora giunta la mia orà. La madre disse: ‘Fate quello che vi dirà'. Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna uno o due barili. E Gesù disse: ‘Riempite di acqua le giare'. E le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: ‘Ora attingete e portatene al maestro di tavola'. Ed essi gliele portarono. E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua) chiamò lo sposo e gli disse: ‘Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un poco brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono'. Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in Lui". (Gv. 2, 1-11) Il cammino di Gesù tra gli uomini per narrare la buona notizia continua oggi. In noi, nella sua Chiesa. Viene solo da chiederci se c'è in noi la gioia che Lui cammini così vicino da condividere ciò che siamo, da farci strada: pronto a donarci «parole e segni» che diventano sicuri orientamenti. |