Omelia (20-01-2013)
Ileana Mortari - rito romano
Questo fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù

Normalmente si designa questa pagina giovannea come il "miracolo della trasformazione dell'acqua in vino". E' vero; ma, sulla scorta del grande esegeta Dufour, dobbiamo notare che molti elementi non corrispondono a quelli che sono i "classici" racconti evangelici di miracoli.

"Nei racconti di miracoli, i beneficiari vengono ordinariamente identificati e caratterizzati, mentre qui la sposa è letteralmente assente, lo sposo appare solo alla fine e in maniera indiretta.......Perché Maria, invitata fra tanti altri, si accorge della mancanza di vino prima dei responsabili del banchetto? Tutti dati che una narrazione di miracolo avrebbe fornito.

In compenso si nota abbondanza di curiose minuzie in un testo per altri versi così sobrio: il grande spazio dato al dialogo tra Gesù e Maria, i particolari relativi alle giare, l'obbedienza scrupolosa dei servi. Soprattutto, se si trattasse solo di un miracolo, perché Gesù non agisce direttamente, come per esempio nell'episodio dei pani a profusione (Giov.6) o quando ordina al mare di calmarsi (Mc.4)? " (X.L.Dufour, Lettura del Vangelo secondo Giovanni, Paoline, pagg. 295-6)

Dunque siamo di fronte a un prodigio, sì, ma anche a qualcosa di più, anzi di più importante della trasformazione dell'acqua in vino, qualcosa che dobbiamo decifrare, se vogliamo leggere il brano correttamente. Giovanni infatti va sempre letto a due livelli: quello ovvio del racconto, e quello che lo stesso autore ci invita a scoprire attraverso particolari indicazioni.

Anzitutto egli non usa il termine "tératon" = prodigio, per indicare il miracolo del vino, bensì "semèion" = segno. Nel 4° vangelo "segno" è un'azione compiuta da Gesù che, ben visibile, conduce però alla conoscenza di una realtà superiore e non percepibile ai sensi.

In questa sua scelta Giovanni non fa altro che riprendere e sviluppare una tendenza già presente nella storiografia antica. "Nell'ottica dei popoli antichi quanto accade, e certi fatti in particolare, non è solo un accadimento, ma - cosa forse più importante ancora - un inviato all'uomo dalla divinità. Un segno che può venire dalla natura come può venire dalla serie dei fatti umani, dall'andamento stesso delle umane vicende, collettive o individuali. Entro questa viva sensibilità al si sviluppa quel particolare modo di guardare agli eventi cercando in essi, quasi in prima istanza, ciò che essi significano per l'uomo". (E. Fermi, Venuta sera, SBC Ed., pagg.248-9)

Lo scopo dell'evangelista è infatti portare i suoi uditori/lettori alla fede in Cristo attraverso la narrazione di alcuni dei "segni" da Lui compiuti. Quello di Cana è il primo, l'inizio, letteralmente il "prototipo" dei segni, cioè è un segno "esemplare", nel quale è in un certo senso prefigurata e precontenuta tutta la serie dei successivi "segni" (guarigione del figlio del funzionario regio, del cieco nato, moltiplicazione dei pani, etc.), che dunque andranno letti tenendo presente quello di Cana.

Ed è questa peculiarità giovannea che può spiegarci quella strana frase, apparentemente rude e quasi irrispettosa che Gesù rivolge a sua madre: "Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora". Nell'originale la prima espressione è "che c'è tra me e te" e significa divergenza di punti di vista, che nella fattispecie sta in questo: Maria (pur suggerendo un miracolo) si preoccupa del vino materiale che manca; Gesù eleva il discorso ad un altro piano, quello della sua manifestazione come Figlio di Dio
che avverrà pienamente nella sua "ora"; e l' "ora" nella teologia giovannea è quella della passione-morte-resurrezione del Nazareno.

Al v.6 ci sono due indicazioni che parrebbero superflue: "vi erano là sei anfore di pietra"; con la sottolineatura "di pietra" l'evangelista ci vuole ricordare che anche le tavole della Legge (date a Mosè sul Sinai) erano di pietra; quanto al numero "sei", è, per chiunque sia familiarizzato con la Scrittura, un richiamo ai sei giorni della creazione. Con ciò abbiamo probabilmente un invito da parte dell'autore a considerare ciò che sta per succedere come qualcosa che è strettamente connesso sia alla creazione che all'esodo di Israele dall'Egitto. E poi si può ricordare anche Ezechiele 36,26: "Toglierò da voi il cuore di pietra e vi porrò un cuore di carne" Cioè: l'alleanza scolpita sulle tavole di pietra dovrà essere impressa nel cuore. E' la visione di Ezechiele (e anche di Geremia cap.31) sulla "nuova alleanza": "Verranno giorni in cui stabilirò un patto nuovo e la mia legge sarà impressa nel loro cuore". Conclusione: nell'episodio di Cana Giovanni vuole renderci coscienti di questa "nuova alleanza".

Proseguiamo nella lettura a due piani, cioè "simbolica", del testo, sulla scorta di Dufour: "Poiché il racconto di Cana non è di tipo biografico (per le ragioni dette all'inizio), il tema delle nozze richiama subito alla mente un'immagine biblica, divenuta tradizionale a partire dall'esperienza coniugale di Osea fino al Cantico dei Cantici e a Gesù stesso, che ha presentato il regno dei cieli come un banchetto di nozze (Matteo 22,2; 25,1). La festa umana per eccellenza, quella che dice l'amore dell'uomo e della donna, destinati a divenire "uno" in conformità con l'immagine divina, è servita da metafora per esprimere l'alleanza di Dio con il suo popolo, e più particolarmente la sua realizzazione escatologica, allorché Dio la stringerà non solo con Israele, ma col mondo intero. La ripetizione della parola "nozze" all'inizio del racconto è manifestamente intenzionale per sottolineare il quadro simbolico dell'episodio......................." (op. cit. pag.305)

Quanto alle giare che devono essere riempite d'acqua: "Da dove viene quest'acqua? Il testo non lo dice, ma è evidente che è stata attinta alla fontana o al pozzo. E'dunque l'acqua della creazione; l'Alleanza di Dio, di cui il segno di Cana è una figura, viene ripresa a partire dal primo stadio. Ireneo e altri Padri della Chiesa hanno spesso fatto attenzione al simbolo dell'acqua che diventa vino: l'Alleanza di Dio con Israele passa nella nuova Alleanza, come l'acqua passa nel vino. Mediante il suo gesto Gesù manifesta in figura che è giunto il tempo in cui Israele entrerà nella comunione definitiva con Dio, come pure l'intera umanità. Ecco perché il vino assaggiato dal direttore di mensa è migliore del primo vino bevuto a Cana." (ibidem pp.324-5)

Gesù ha compiuto il "segno": il dono del vino. Il banchetto di nozze e l'offerta del vino buono e quanto mai abbondante sono i tipici simboli biblici dei tempi messianici. Soprattutto il vino nuovo è il segno dell'avvento del Messia (peraltro già riconosciuto in Giov.1,19-51), l'inizio della "nuova creazione", cioè della salvezza e della liberazione dal peccato e dalla morte: "Egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui" (v.11)

E' da notare poi che, se Giovanni usa il termine "segni" al plurale, è perché non vuole limitarsi ai "segni-miracoli", ma vuole dire che tutte le azioni di Cristo, tutti gli aspetti della sua vicenda storica sono SEGNI che suscitano interrogativi. Infatti il "segno" per Giovanni è - come già visto - un elemento visibile che conduce all'invisibile; per lui tutto il mondo della "carne" (o delle realtà terrestri) è un segno del mondo invisibile, della realtà di Dio. Ecco perché il 4° vangelo termina con: "Gesù fece molti altri segni....questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo" (20,30-1).