Omelia (11-04-2004) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Per non vivere da morti la vita La resurrezione del Signore non è un fatto di raziocinio o di elucubrazione mentale; non vuole essere legittimato da alcuna prova empirica relativa alla scienza sperimentale, né vuole la legittimazione storica (anche se le prove del fatto ci sarebbero) ma vuole essere accolto gratuitamente dal cuore dell'uomo. In altri termini, alla resurrezione bisogna solo credere, o meglio abbandonarsi alla pienezza del suo mistero poiché è il cuore dell'uomo che viene interpellato.. "Io credo che è veramente risorto e spero in lui", è questo insomma l'atteggiamento esclamativo che siamo chiamati ad assumere di fronte a tale annuncio. E in modo particolare ha motivo di credere e sperare chi in questo momento è avvinto dal peso inesorabile dei drammi esistenziali o di altro genere che la vita ci riserva. Ha motivo di sperare per esempio chi soffre l'abbandono e la solitudine: non si scoraggi! Cristo resuscitato saprà ricompensarlo con la sua ineffabile compagnia avendo egli superato l'abbandono del Padre sulla croce; ha motivo di sperare l'ammalato costretto al letto o alla carrozzella: consideri privilegiata la sua condizione di dolore, anche se atroce, giacché essa si associa al patimento di Cristo sulla croce e non può non trasformarsi in resurrezione, ossia in ricompensa. Basta credere, sperare e aspettare. Ha motivo di sperare e di credere il meno abbiente che a stento mantiene la famiglia: sia perseverante nella prova e non soccomba alle ristrettezze, poiché Cristo si è fatto povero per arricchirci; ha motivo di esultare e sperare il perseguitato costretto alle calunnie e agli insulti: non si vergogni della propria mitezza e dello spirito di sopportazione che si associano alla flagellazione e saranno meritorie di ricompensa... Hanno motivo di sperare i giovani che aspettano affermazioni per il futuro: aprano il cuore alla speranza e non omettano di eludere gli ostacoli per considerare la meta, quale lo stesso Cristo l'ha raggiunta nell'uscire dal sepolcro. E soprattutto ha motivo di credere e sperare l'uomo in quanto invischiato dalla cultura peccaminosa della morte. Già. Perché non ci si accorge che quello della morte è un fattore culturale che caratterizza la nostra vita di tutti i giorni. Che cos'è infatti quello scenario di violenza, di fame, di discriminazione e di ingiustizia al quale ci costringono tutti i giorni i mass media se non una affermata legittimazione della morte collettiva che si impossessa dell'uomo inconsapevole ed illuso di vivere? A che cosa conducono tutte quelle forme di pensiero che promuovono la cultura del mancato rispetto della vita sin dal suo primo concepimento se non ad una giustificazione della morte, a volte con la pretesa di assurde emancipazioni ed autoaffermazioni? E che cosa lasciano trasparire i sotterfugi del falso in bilancio, della tangente, o del guadagno facile se non una comune convinzione per la quale non debba sussistere alcun criterio etico nei comportamenti ma che tutto sia lecito pur di raggiungere il possesso? E anche questo è caratteristico della cultura della morte. Si, perché si muore quando ci si illude di vivere. Quando cioè si manca di instaurare rettitudine nelle nostre relazioni sociali, quando si viene meno alla promozione dei valori e ci si ostina su una valsa interpretazione del concetto della vita; e tutto questo si riscontra in un solo termine: peccato. Così afferma infatti Paolo ai Corinzi: "Dov'è o morte la tua vittoria, dov'è o morte il tuo pungiglione? Pungiglione della morte è il peccato..." In questa prospettiva si muore in anticipo perché si vive da morti la vita. Fortunatamente noi possediamo una reazione alla cultura della morte, che non è un'ideologia ma un evento: Gesù Cristo, Figlio di Dio risuscitato. In lui si trovano tutte le risposte agli innati interrogativi dell'umanità, la realizzazione delle aspettative e delle ansiose attese di tutto il mondo, perché si tratta di Dio che ha voluto fare l'esperienza della morte fisica sulla croce per poter offrire a tutti la certezza che la morte è stata definitivamente sconfitta. Con l'ergersi vittorioso di Gesù sul sepolcro possiamo infatti godere della consolazione che, come lui stesso ha detto, "chiunque vive e crede in me, anche se muore vivrà" e pertanto ci si dischiude la gioia della vita eterna nella gloria al di là di questo corpo mortale e quello che noi chiamiamo trapasso non è che un transito alla pienezza della vita vera.; in secondo luogo, Cristo Resuscitato appunto perché Dio che ha condiviso le pene dell'uomo, ci si propone come criterio comportamentale per vivere la nostra vita in pienezza e scongiurare il perniciosissimo rischio della cultura del peccato e della morte. Ecco perché oggi non si può fare a meno di esultare e la Pasqua è caratteristica di gioia: se Cristo è risorto ciò vuol dire che anche per tutti noi c'è risurrezione, realizzazione e vita senza fine in tutte le circostanze e in tutte le dimensioni. Ed è per questo che non possiamo fare a meno di esultare per la Pasqua (= ebraico passaggio) dalla morte alla vita, mentre la Chiesa non si stancherà mai di annunciare questo messaggio di vittoria sulla croce che è il culmine della nostra fede... |