Omelia (19-01-2013)
Riccardo Ripoli
Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati

Un giorno ci alziamo la mattina e vediamo i nostri giorni passati con gioie e dolori, fatiche e momenti di svago e nel contempo ammiriamo il nostro presente dichiarandoci soddisfatti per aver costruito qualcosa di importante nella nostra vita: un marito o una moglie, uno o più figli, una casa, un posto di lavoro, una tranquillità economica, una o più vacanze ogni anno, un buon rapporto con amici e parenti. Alti e bassi ne abbiamo tutti, ma la valutazione della nostra vita è comunque soddisfacente, ci sentiamo realizzati.
Da quando nasciamo è un continuo allenamento e spesso dobbiamo affrontare degli esami o prove per andare al livello successivo, così da bambini passiamo all'adolescienza e da questa alla maturità conquistata giorno dopo giorno. Ci alleniamo ad affrontare la vita, cerchiamo e creiamo strumenti per plasmarla a nostro favore, stringiamo alleanze con le persone che incontriamo sulla nostra strada ed è un continuo fortificarci fino al giorno in cui ci sentiamo pronti per volare fuori dal nido e prendere in mano la nostra esistenza per costruire un percorso che sia il più lineare e tranquillo possibile. Il giorno in cui ci sentiremo realizzati sarà come essersi laureati alla facoltà della vita. Ovviamente si può ancora progredire prendendo master su master, ma già con la laurea si può essere soddisfatti per aver raggiunto un buon livello.
Ma ancora manca qualcosa. E' mai possibile che ci si alleni per così tanti anni, si diventi esperti delle cose del mondo, si impari a gestire mille situazioni, a sopportare insulti tutto per il nostro bene, tutto per arrivare ad avere una posizione di tranquillità? Non credo che Dio (la natura se non credete) ci abbia creato per questo. Se ogni persona si allenasse solo per sé stessa il mondo non progredirebbe mai ed oggi saremmo ancora all'età della pietra. Pensate ad uno sportivo, ad uno che si alleni da quando è piccolino e partecipi a molte gare piazzandosi sempre meglio. Non è pensabile che faccia gare per tutta la vita, che possa ambire a salire sul podio fino al giorno della sua morte, arriverà un momento in cui dovrà lasciare il posto ad altri, e questo è innegabile ed avrà la possibilità a quel punto di fare una scelta: vivere di ricordi, annusare tutte le sue belle medaglie, riguardare all'infinito i filmati e le foto delle sue vittorie, oppure trasmettere ciò che ha imparato alle nuove generazioni, magari prendendo sotto la sua protezione un ragazzo che non ha possibilità economiche per fare quello sport o che avrebbe delle capacità ma che ha le ali tarpate perché ha già sbandato andando fuori strada. In questo caso lo sportivo arrivato avrebbe la possibilità di far fruttare l'allenamento di una vita e costruire qualcosa che gli dia soddisfazione e che sia un bene per altri. Qualcuno avrà le forze per aiutare un solo ragazzo ad emergere, altri alleneranno intere squadre di campioni, ma la cosa importante è non sedersi a godere dei risultati raggiunti, altrimenti saranno solo fini a sé stessi e quella soddisfazione che oggi sentiamo lascerà ben presto il posto al dispiacere di non aver contribuito a creare qualcosa di importante.
Sarebbe un po' come se una persona si laureasse in medicina dopo tanti anni di studio, prendesse la sua specializzazione, l'abilitazione alla professione medica e poi si sedesse in poltrona a dire "fin qui ci sono arrivato, è una bella soddisfazione, adesso mi fermo e mi godo il risultato delle mie fatiche" e non pensasse che proprio ora che è medico ha la possibilità di guarire i malati, non capisse che dopo tanto allenamento è quello il momento di cominciare a costruire qualcosa.
Una volta che ci siamo sistemati, creato una famiglia, raggiunta una posizione di relativa tranquillità abbiamo il dovere morale di aiutare chi ha avuto meno risorse di noi, di prendere qualcuno ed allenarlo, fortificarlo, sostenerlo.
Ognuno nel campo, nello sport che preferisce, siano essi emigrati, barboni, poveri, drogati, donne maltrattate.
Coloro che scelgono la strada dell'affidamento sono persone che hanno deciso di puntare sui bambini, di prenderli per mano e fare di tutto perché arrivino sul podio, ma con l'obiettivo di farli divertire allenandosi alla vita e trasformare esserini gracili, denutriti, maltrattati in uomini e donne capaci di prendere in mano la propria vita compiendo scelte che li porteranno a creare famiglie sane, allevare figli amati, produrre per la società ed essere in grado un domani, raggiunta la piena maturità, di aiutare altri ad allenarsi per lo sport più bello e più difficile che è la vita.