Omelia (27-01-2013) |
Marco Pedron |
Io sono quello che voi aspettate Nel vangelo di oggi Gesù torna a Nazaret. Dov'era stato finora? Gesù è stato nel deserto (Lc 4,1-13) dove ha incontrato il diavolo nelle tentazioni ma soprattutto ha aderito al movimento del Battista. Il Battista è ritenuto santo e anche un po' fanatico dal popolo; sicuramente è mal visto dalle autorità religiose che ne temono la sua popolarità (Mt 21,25-26) e che lo considerano un pazzo scatenato e uno posseduto (Mt 11,18: "E' venuto Giovanni che non mangia e non beve...: ha un demonio"). Adesso però il Battista è in galera nel supercarcere di Macheronte per guai politici con Erode e non può più predicare. Lo fa però Gesù. E la sua fama si diffonde velocemente e rapidamente (Lc 4,14). Gesù va nelle sinagoghe a predicare e ha grande successo; dai paesi vicini arrivano le voci entusiastiche, i consensi e le lodi. Adesso torna nella sua città, Nazaret, e va nella sinagoga. Osserviamo che si dice "secondo il solito" (Lc 4,16): vuol dire che anche per Gesù, come per ogni buon ebreo, era tradizione andarci di sabato. Ma non ci andrà ancora per molto. Intanto qui Gesù ci va, ma non per partecipare al culto, ma per insegnare. E visto ciò che accade nelle sinagoghe ogni volta che predica, non ci andrà più. Infatti, e lo sentiremo domenica prossima, dopo la sua predica "quelli della sinagoga" tentarono di farlo fuori (Lc 4,29). Nel vangelo questa cosa è incredibile: quando Gesù si presenta alle persone pie e religiose queste tentano di farlo fuori e di fargli la pelle. Quando Gesù invece si presenta ai delinquenti e la feccia della società, questi lo ascoltano. E perché cercano di farlo fuori? I luoghi sacri sono quelli più pericolosi per Gesù. Per tre volte tenta di insegnare nelle sinagoghe: la prima lo interrompono malamente (Mc 1,21); la seconda e la terza decidono e tentano di assassinarlo (Mc 3,1; Lc 4,16-30). La zona di massimo pericolo rimane il Tempio. La "Casa di Dio" è il posto più pericoloso per Gesù: delle 12 volte che il verbo "uccidere" (apokteino) appare in Gv, 6 volte lo si incontra nel tempio (Gv 7,19.20.25; 8,22.37.40). E delle 8 volte che Gv usa il verbo "arrestare" (piazo), 4 sono nel tempio (7,30.32.33; 8,20). Ciò che è incredibile dei vangeli è che i posti più religiosi "uccidono", o ci provano, il figlio di Dio. E lo fanno in nome di Dio. Perché la gente che non conosce Dio si attacca al proprio Dio. Chi non ha sperimentato Dio si attacca alle idee e alle regole di Dio e diventa rigido, inflessibile e giudicante. Chi "ha conosciuto" Dio, invece, sa Chi è Lui: Lui è amore, vitalità, perdono, gioia, compassione tenerezza. Ma chi non lo conosce lo ridurrà alle proprie idee e alla propria testa. E quando qualcuno parlerà di Dio a chi non conosce Dio, questi gli risponderà: "Tu sei pazzo! Dio non è così". Perché, per lui che non lo conosce, Dio è come i suoi pensieri. Gli uomini normali peccano e poi tutto finisce lì. Ma gli uomini troppo religiosi vedono peccato e male dappertutto: non perché ci sia ma perché loro non riescono a staccarsene. Il peccato che vedono dovunque è la proiezione delle proprie ombre interne. Allora: c'è grande attesa ("gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui"; Lc 4,20). C'è molta gente nella sinagoga ("gli occhi di tutti") e il capo della sinagoga dev'essere molto contento. Infatti, se non vi sono dieci maschi adulti il capo della sinagoga deve pagarli (minyan) perché si possa svolgere la liturgia. Ma oggi ce ne sono in abbondanza. Ma perché lo vogliono far fuori? Anche a quell'epoca c'era l'anno liturgico; la Bibbia era suddivisa in tre anni e ad ogni Sabato corrispondeva una lettura. Gesù, che capisce poco di liturgia, oppure che non gli gusta la liturgia fissata dai liturgisti, quando gli danno il rotolo del profeta Isaia anziché leggere la lettura che quel giorno presentava, ne cerca una particolare. La traduzione dice: "Apertolo trovò" (Lc 4,17). Ma il verbo eurisko vuol dire cercare. Allora Gesù non legge il testo che doveva leggere ma ne va in cerca di un altro. E' lui che lo cerca! E questa cosa sconcerta perché le regole liturgiche erano sacrali. Il testo che Gesù legge si leggeva sì di sabato ma nella cinquantesima e cinquantunesima settimana dell'anno, durante l'estate e non in quel momento. Gesù cerca il passo di Isaia al capitolo 61, che parla dell'investizione dell'unto del Signore e lo legge: "Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l'unzione (e fino a qui, tutto bene), e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore" (Lc 4,18-19). E fin qua tutto ok. Gesù cita Isaia ma citando il profeta egli definisce la sua missione: "Io sono qui per questo; Dio mi ha mandato per questo". E qual è la prima preoccupazione di Dio? L'umanità sofferente. La prima preoccupazione di Dio è "la povertà" (Lc 4,18: "ai poveri il lieto annuncio=vangelo"). Gesù non è venuto per costituire un gruppo di monaci che si dedicano alla preghiera ma per togliere la povertà, ogni povertà. Perché se i soldi non fanno la felicità, figuriamoci la povertà! L'A.T. era chiaro su questo. Dio stesso diceva: "Non vi sarà più nessun povero in mezzo a voi perché il Signore senza dubbio ti benedirà nella terra che ti ha dato in eredità" (Dt 15,4). A quel tempo vi erano tante nazioni e ognuna aveva la propria divinità. I popoli circostanti, vedendo che in Israele non c'era nessun bisognoso, nessun povero, avrebbero dovuto dire: "Il Dio di Israele è il più importante". Qual è la buona notizia che i poveri attendono? La fine della povertà! Se uno era povero (cioè mancante di) di cibo Gesù gli dava il pane (Lc 9,10-17: la condivisione dei pani). Ma questo non piace ai ricchi; i ricchi ti fanno l'elemosina ma non vogliono condividere. Se uno era povero di libertà, lui gliela offriva: "Va vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi" (Lc 18,22). Sei prigioniero perché ti sei attaccato a quella cosa lì: liberatene e sarai libero. Ma questo non piace a chi ha certezze, sicurezze. Perché a volte sono tutto e solo quello che ha. Se uno era povero di vista, lui gli dava la luce (Gv 9). Se uno non ci vedeva, lui gli apriva gli occhi. Ma questo non piace a molti perché si vedono cose che non si vorrebbero vedere. Se uno era oppresso lui gli dava la libertà (Gv 11,43): "Lazzaro esci fuori!". "Non vedi che sei oppresso dalle tue sorelle? Non vedi che ti fanno morire? Non vedi che sono relazioni mortali? Vuoi morire lì dentro? Esci fuori!". Per niente agli altri dice: "E voi, scioglietelo e lasciatelo andare" (Gv 11,44). Ma questo non piace a molti perché vivere vuol dire cambiare i rapporti, le relazioni e gli equilibri. Lui è venuto per questo: per darti ciò che ti manca... se lo vuoi però! Ma adesso viene il bello perché il profeta Isaia continua dicendo: "Un giorno di vendetta del Signore" (Is 61,2). E che fa Gesù? Gesù si ferma qui e non lo dice questo versetto, che era il più atteso perché era "il tempo della rivincita, della vendetta sui nostri nemici". Se noi non capiamo il contesto non capiamo perché poi lo vogliono uccidere. Infatti uno si chiede: "Ma che cos'avrà detto poi di così tanto male?". E uno non capisce. Nazaret è in Galilea. E la Galilea era un ambiente di nazionalisti. Succedeva infatti spesso che in Galilea, paese di rivoluzionari, la gente si sollevasse contro il potere romano invocando la venuta del Messia. Allora: la gente che lo ascolta non aspetta altro che quel versetto: "E' tempo del Messia, che ci farà vendetta e scaccerà i nostri oppressori Romani". La gente aspetta questo Messia; questo era il lieto annuncio: che loro, poveri, schiavi e prigionieri sarebbero stati liberati dal Messia dai Romani. Come vedete in ogni tempo Dio "viene usato": oggi gli si chiede di vincere al Superenalotto, di farci trovare l'uomo giusto, di mandarci questo o quello, a quel tempo di mandare il Messia-Rambo. Poi, dice il vangelo, "Gesù lo arrotolò, lo consegnò all'inserviente e sedette" (Lc 4,20). Le persone sono sconcertate: "Ma come? Perché ha interrotto? Non va avanti?". La lettura della Bibbia, fatta così, è mutilata, blasfema, irriverente. C'è bisogno di una spiegazione. E' per questo che "gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui" (Lc 4,20). Nell'aria c'è una tensione pazzesca perché non è in linea con le attese di tutti, con le attese della tradizione, con le attese dei religiosi. Gesù dice: "Sì, il Messia viene ma non è affatto il Rambo che pensate voi!". E quando dice: "Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi" (Lc 4,21) succede il putiferio e il finimondo. E domenica prossima sentiremo cosa accadrà! Forse noi non ci rendiamo bene conto ma Gesù si definisce l'unto, il Messia tanto aspettato. "Quello che da secoli aspettavate, quello che da sempre avete pregato e invocato, il vostro desiderio più grande: eccomi qua, sono io. Io sono l'unto; io sono il Messia; io sono l'aspettato". E il problema più grande per Gesù non era che si dichiarasse lui l'Unto (unto=masciah, ebracio=messia): che fosse l'Unto, il Messia, potevano accettarlo. Ma mai avrebbero potuto accettare che fosse così. Essere l'Unto era il desiderio più grande di tutti. Perché il Messia era così aspettato che tutti lo avrebbero seguito: era la massima attesa di ogni ebreo. Chi desiderò ardentemente di essere l'Unto, il Consacrato, fu Erode. E' interessante sapere cosa fece Erode perché ricorda dei personaggi un po' megalomani di oggi. E questo ci fa capire il perché è terrorizzato quando gli dicono: "E' nato il Messia a Betlemme, il re dei Giudei" (Mt 2,2). Erode arrivò al potere in maniera illegale, perché diventò re di Giudea pur non potendo, in quanto era arabo. Diventò re in maniera oscura, non si sa ancora bene come fece. E siccome aveva l'ostilità da parte del gruppo dirigente, Erode capì che per farsi accettare doveva occupare quelli che all'epoca erano i mezzi di informazione. Erode venne chiamato il Grande perché era furbo (in questo senso "grande"!). Chi erano quelli che detenevano l'informazione? I farisei! Bene, lui li eliminò tutti. Ma non era ebreo. Quindi si fece pubblicizzare dal suo storiografo di essere l'Unto del Signore, cioè l'Inviato del Signore. E per dimostrare che era ebreo si era fatto costruire un falso albero genealogico. Era megalomane, aveva cinque sfarzosi castelli e una particolarità che ci descrive Giuseppe Flavio è quella che si tingeva i capelli. Giuseppe Flavio scriveva: "Erode è un vecchio svergognato che si tinge i capelli di rosso". Aveva un fratello, poi, sul quale scaricava tutte le sue malefatte. Aveva promesso, perché la folla e la gente non lo amava tanto, diecimila posti di lavoro e comprendendo l'importanza dello sport e della pubblicità, finanziò le olimpiadi dell'epoca. Quello che è tragico è che Erode ha regnato per quarant'anni! Essere l'Unto era la massima aspirazione di tutti. Gesù poteva benissimo essere un pazzo. Non sono mica matti quelli che vogliono uccidere il "pazzo" Gesù. Dobbiamo capirli. Agli occhi dei discepoli Gesù era il Messia. Ma agli occhi degli altri Gesù era davvero pazzo. Ciò che colpisce di Gesù è 1. la sua ferma e incrollabile convinzione di essere il Messia. Si può dire: "E va beh, era il Figlio di Dio, lo sapeva!". Ma da un punto di vista umano, quanta sicurezza, autostima, quale radicamento uno deve avere per essere certo, sicuro, di essere l'Inviato? Da questo punto di vista la fiducia in sé è la base, le fondamenta per costruire ogni sogno. Una cosa non sta in piedi senza fondamenta; senza fiducia in sé non si può raggiungere nessun sogno. E poi 2. di Gesù colpisce questo "oggi". Gesù chiude il tempo dell'attesa. L'attesa si compie oggi. Basta posticipare, basta rimandare, basta sperare che accada chissà cosa. Io lo faccio oggi. C'è uno "scusa" che dovrei dire a qualcuno? Lo faccio "oggi". C'è una scelta difficile che dovrei fare? La faccio oggi: prendo il coraggio e scelgo. C'è una prigione da cui devo uscire? Qualunque sia il costo, lo faccio oggi. C'è una cosa che dovrei vedere o ammettere? Smetto di raccontarmela, di nascondermela, lo faccio oggi. C'è un "sì" che dovrei dire a qualcuno? Anche se ho paura, lo faccio oggi. C'è un "no" che dovrei dire a qualcuno? Anche se vuol dire conflitto o tensione, lo dico oggi. Mi accorgo che la vita mi sta scappando? Devo cambiare oggi. Domani in genere è mai. Domani è solo una illusione per dirsi "no" rivestita da "sì". L'anno di grazia del Signore, se scelgo, è "oggi". La scelta cambia il caso in destino. Durante gli esercizi spirituali ci hanno fatto fare questo esercizio: "Dovete morire fra due giorni: cosa fate?". E ciascuno ha detto e scritto cosa avrebbe fatto. Il giorno dopo alla mattina ci hanno detto: "Bene adesso avete questa giornata per farlo". E l'abbiamo fatto. E' stato meraviglioso: cose che si rimandavano (e non si sa perché) le abbiamo fatte "oggi". E la domanda che c'è rimasta è: "Ma perché qualcuno ci deve costringere? Perché non farlo da noi?". Pensate alla cosa più urgente della vostra vita? Pensata...? Fatela oggi. E' l'azione, l'oggi, che cambia la direzione della mia vita. Pensiero della Settimana "Da domani sarò triste, da domani. Ma oggi sarò contento: a che serve essere tristi, a che serve? Perché soffia un vento cattivo? Perché dovrei dolermi, oggi, del domani? Forse il domani è buono, forse il domani è chiaro. Forse domani splenderà ancora il sole. E non vi sarà ragione di tristezza. Da domani sarò triste, da domani. Ma oggi sarò contento; e ad ogni amaro giorno dirò: "Da domani, sarò triste. Oggi no". (Preghiera di un ragazzo trovata in un ghetto nel 1941) |