Omelia (14-03-2004) |
don Elio Dotto |
Se non vi convertite... C'è una malattia che affligge la società moderna, e le stesse nostre chiese cristiane: una malattia insidiosa, che ha sintomi nascosti ma effetti disastrosi. Mi riferisco a quella malattia di cercare in ogni messaggio di carattere «religioso» – e cioè in ogni parola che dica a proposito di Dio – una risorsa per sognare, magari anche per commuoversi e piangere, senza per altro che ne vada di mezzo la qualità delle occupazioni quotidiane. Si chiede cioè che le parole religiose scaldino il cuore, suscitino emozioni, portino sollievo e consolazione: ma niente di più. Qualcuno potrebbe dire che è già un primo passo: perché comunque anche di sollievo e consolazione abbiamo bisogno. Il Vangelo di Gesù però non è d'accordo: perché la buona notizia di Dio non può essere trasformata in un semplice discorso consolatorio. Ce lo confermano le parole forti del brano evangelico di domenica: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Taglienti appaiono infatti queste parole: è come se il Signore si fosse stancato dei suoi uditori, e volesse manifestare una volta per tutte la sua irritazione. Certo, questo ammonimento non ci deve spaventare: il Vangelo di Gesù rimane sempre lieta notizia, parola di speranza. Eppure dobbiamo riconoscere che tale parola non è né leggera, né consolatoria. Essa piuttosto è come una spada «che penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito... e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore» (cfr Eb 4,12-13). In altri termini, il Vangelo di Gesù si presenta come un pungolo, che vuole risvegliare la coscienza addormentata di chi ascolta. Addormentata infatti era in quel tempo la coscienza degli uditori di Gesù. Essi avevano da poco assistito a due disgrazie: il massacro di alcuni Galilei ad opera dei romani, e la tragica morte di diciotto persone uccise dal crollo della torre di Siloe. Simili disgrazie potevano certo far riflettere gli uditori di Gesù: o – perlomeno – potevano inquietare la loro coscienza. E tuttavia questo non accadde: perché essi pensavano tranquillamente che quei fatti non li riguardassero. Successe così già allora quello che si ripete ancora oggi quando ci lamentiamo dei mali del nostro tempo senza mettere in discussione noi stessi; quando – ad esempio – ce la prendiamo con i «signori della guerra» senza verificare la qualità delle nostre relazioni quotidiane. Anche per noi, in questo caso, vale l'ammonimento di Gesù: «se non vi convertite...». Ma appunto tale opportunità ci è offerta oggi, in questo tempo di Quaresima: l'opportunità di convertirci e di risvegliare finalmente la nostra coscienza addormentata. Il Signore non vuole che noi periamo; e non vuole neppure che ci lasciamo avvilire dal rimorso e dalla rassegnazione. A questo proposito è splendida la parabola con cui Gesù conclude il suo ammonimento: in essa il padrone del fico ha pazienza, ancora per un anno. Ecco, abbiamo ancora una Quaresima davanti a noi: ce la possiamo fare, possiamo ancora cambiare il nostro cuore e le nostre opere. Basta provarci, senza più pensare che la conversione non ci riguardi. |