Omelia (15-02-2013)
Casa di Preghiera San Biagio FMA
Commento su Isaia 58,6-7

Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti?
Is 58,6-7


Come vivere questa Parola?

Attraverso la parola di Isaia, Dio torna a farci riflettere sul digiuno, pratica che si inserisce nel cammino quaresimale e che non può ridursi a una semplice astensione dal cibo.

Ma attenzione a non farne una realtà talmente spiritualizzata da vanificarla. Anche il privarsi, almeno due volte all'anno, di ciò di cui abitualmente ci nutriamo, ha il suo valore: si impara ad apprezzare ciò che abbiamo, ma soprattutto si capiscono meglio le difficoltà in cui si trovano tanti nostri fratelli e si diventa più solidali. Il devolvere a loro favore il relativo risparmio è un dare non del nostro superfluo, ma qualcosa di cui ci priviamo, un gesto d'amore, quindi, non quantificabile, ma infinitamente superiore a qualunque elemosina. Ci si esercita, poi, nel dominio di se stessi: sono io a comandare in casa mia e non le pulsioni, sia pur buone, di cui prendo coscienza e a cui rispondo con consapevolezza ed equilibrio.

Il digiuno che la quaresima prospetta rientra in un processo più complesso di conversione, cioè in un radicale decentramento che fa passare dall'io a Dio. Ma per cedersi, è necessario possedersi!

In questo cammino, i miei interessi cedono il passo a quelli di Dio. E l'orizzonte si spalanca sulla vastità del mondo, e ai fratelli viene restituito il posto che loro compete. Un digiuno più radicale si impone: quello che mette a tacere l'avidità del possesso, la smodata bramosia di primeggiare di imporsi, o anche quell'innato bisogno di farsi giustizia.

Non si tratta allora di mantenere vuoto lo stomaco, ma di svuotare il cuore da quanto lo rende impraticabile agli altri.

Il verbo digiunare si coniuga sul verbo amare: solo così la materialità dell'atto acquista senso e spessore, perché ricondotto al suo movente e al suo fine.

Insegnami, Signore, a coniugare tutta la vita sul verbo amare e allora più nulla mi sarà di peso e il digiuno diverrà ala per spaziare nel tuo orizzonte.

La voce di un dottore della Chiesa

Quantunque ingentilisca il cuore, purifichi la carne, sradichi i vizi, semini le virtù, il digiunatore non coglie frutti se non farà scorrere fiumi di misericordia.
San Pietro Crisologo