Omelia (13-02-2013) |
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COMMENTO ALLE LETTURE a cura di Mauro Manganozzi La quaresima ancora una volta ripropone la pratica dell'elemosina, del digiuno e della preghiera (Mt 6,1-6.16-18) che sono da una parte il segno concreto del desiderio rinnovato di ritornare al Signore da parte dei credenti (Gl 2, 12-18) e dall'altra il frutto della salvezza realizzata dal Signore per tutti, senza esclusione (2Cor 5, 20-6, 2). Il tempo quaresimale è dunque il tempo particolarmente favorevole per ricevere la riconciliazione che Dio vuole operare per i credenti attraverso la missione del Figlio (cf. 2Cor 6, 2). Le opere della Quaresima (elemosina, digiuno e preghiera) sono nel segno della lotta spirituale. Lontano da ogni forma di volontarismo e nella piena consapevolezza della necessità della grazia divina, in Quaresima si riceve la chiamata alla lotta spirituale come piena disposizione alla grazia che opera nella vita dei credenti e segno tangibile della lotta che il Signore risorto in persona, fin dal giorno del Battesimo, compie in noi; alla sua lotta siamo chiamati a dare pieno assenso e collaborazione col nostro impegno. Nel nostro tempo la lotta spirituale assume un significato particolare, perché oggi si è perso il senso dell'operare cattivo, del desiderare cattivo, del parlare cattivo, si è smarrito il senso del peccato come deviazione rispetto alla traiettoria del progetto di Dio sulla nostra vita. Ci si sente autorizzati a fare tutto quello che si vuole fare e tutto quello che si desidera diventa lecito. Il relativismo etico ha generato l'incapacità di scegliere, non è più necessario scegliere tra l'una e l'altra cosa perché ci si da automaticamente il permesso di farle tutt'e due. La lotta sembra fuori luogo, sembra non avere senso anche se, invece, l'edificazione e la crescita di una personalità salda e matura, veramente umana, ancora prima che cristiana, passa proprio per lo sviluppo della capacità di scelta, per la comprensione di cosa sia veramente la libertà al fine di esercitarla pienamente. Occorre prendere distanza dalle cose che ci circondano, occorre distaccarci anche da noi stessi per far si che nulla si metta al posto di Dio per trasformarsi in un idolo. Il distacco dal cibo ci aiuta a recuperare la dimensione di comunione che ha il pasto. Si mangia per condividere la vita, si mangia per condividere la festa e non per soddisfare con ingordigia il proprio bisogno e divorare individualmente ciò che diventa oggetto del nostro desiderio attraverso gli occhi. Mangiare è un gesto da fare insieme agli altri e quindi con Dio per rendere a lui grazie, proprio come si fa mangiando durante la celebrazione dell'Eucarestia. Anche l'elemosina è un gesto che ci porta a vivere i beni insieme con gli altri, il danaro non è fatto per essere accumulato con avarizia, ma al contrario va condiviso, specialmente con chi è più povero per non dimenticare che i beni che abbiamo sono dono di Dio e noi siamo tenuti, per giustizia, alla loro destinazione universale (CCC nn. 2402ss.). Infine la preghiera è un esercizio che ci aiuta, oltre che ad ascoltare la Parola di Dio e a parlare con lui, a distaccarci dall'uso individualistico del tempo. Il modo con cui si utilizza il tempo, in una società frenetica, induce a pensare che il tempo da dedicare alla festa sia sprecato (si pensi alla domenica che rischia sempre di più di diventare un giorno come glia altri) e ancora di più che la preghiera sia una perdita di tempo a danno di cose che hanno una maggiore importanza. Specialmente nell'anno della fede occorre riscoprire come attraverso le opere della Quaresima siamo condotti a riqualificare radicalmente il senso di tutto quello che facciamo per ritornare a fondare e a spendere le energie personali sul rapporto con Dio (Dt 6,5: «Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze») e su quello con i nostri fratelli (Lv 19, 18: «Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore») proprio come Gesù ci ha insegnato (Mt 22, 37-40; Mc 12, 28-31; Lc 10, 27). |