Omelia (03-03-2013)
padre Gian Franco Scarpitta
Se Dio non ha fretta e attende con pazienza

La liturgia odierna mi rammenta, anche se la condizione non è identica, un discorso che ai tempi del seminario a Roma sentii proferire da un sacerdote a noi giovani formandi: "Non crediate che coloro che hanno deciso di abbandonare il seminario siano spiritualmente meno preparati di noi... Non crediate che noi siamo migliori di coloro che scelgono la vita coniugale, il mondo professionale o addirittura abbracciano l'idea anticlericale!" Da aggiungere a questa osservazione che non è affatto vero che persone di cultura generale medio bassa siano digiuni di sapere teologico o spirituale: a volte hanno molto da insegnare ai raffinati intellettuali della religione! Tempo fa' mi imbattei in un tossicodipendente di strada che, preso l'argomento, mi palesò tutta la sua conoscenza della Bibbia e la sua fede intensa nel Signore, cosa che non sempre si riscontra nella comune gente di chiesa. C'è molta santità anche fuori dalla Chiesa, a volte più che da noi.
Purtroppo non è affatto raro che noi sacerdoti e religiosi ci consideriamo al di sopra di tutti gli altri solo in ragione dell'abito che indossiamo e che peggio ancora pretendiamo di avere soltanto da insegnare agli altri, senza necessità di dover apprendere. Eppure la Scrittura è categorica nel ragguagliarci di come Dio elegge a profeti e ministri proprio coloro che socialmente vengono deprezzati o respinti perché peccatori o perché ignoranti e meschini. Dio avrebbe potuto servirsi di ben altre persone quali intermediari presso il faraone nel suo disegno di liberazione del popolo d'Israele. Avrebbe potuto manifestarsi ad uno dei cortigiani dello stesso re d'Egitto o ad un diplomatico, a un funzionario... e invece solo Mosè, reo di sangue e incolto allevatore di bestiame, viene scelto ed equipaggiato per un tale delicato ministero: Mosè viene chiamato in una circostanza tanto inaspettata quanto intima da colui che gli si rivela "Io sono", cioè l'Ineffabile, il Supremo innominabile che non disdegna di comunicare con gli uomini. Dio gli si mostra con la prerogativa del fuoco, che pur ardendo un roveto non lo consuma: fuoco della presenza di Dio che purifica, rafforza e rinsalda e in questo caso convince. Ciò ci illustra che non vi sono prerogative di merito nell'uomo che possano attrarre l'attenzione di Dio e che al contrario altri possono essere anche più meritevoli di noi. L'episodio di Mosè sul monte delinea il fattore fiducia, misto a conversione e a vocazione, per cui l'uomo non può che sentirsi spronato verso Dio, il quale lo sceglie semplicemente perché lo vuole e non già perché egli lo merita.
Ciò già e sufficiente a spiegare che a noi (cristiani) non spetta giudicare o sindacare nessuno quanto alle proprie qualità, al suo comportamento o ad atteggiamenti o altro; tanto meno ci è legittimo usare presunzione e superbia esaltando noi stessi sugli altri in forza di una presunta perfezione acquisita. Piuttosto, quanto è di nostra pertinenza è la conversione: metterci in discussione per provvedere a lacune o defezioni non sarà mai abbastanza nel nostro percorso spirituale e va scongiurata l'idea di aver raggiunto il traguardo una volta per tutte. La conversione è continua e improcrastinabile e occupa tutto lo spazio della nostra vita; quando si è invasi dalla certezza di trovarci a posto nei nostri rapporti con Dio, tale presunzione impone che l'itinerario ricominci ex novo sin dall'inizio.
La chiesa è Sacramento di salvezza, per mezzo della quale Dio chiama tutti alla comunione con sé, alla conversione, ma al tempo stesso è un insieme di membri che si impegnano nello stesso intento. Siamo una comunità di peccatori che nella comunione aspirano alla riconciliazione con Dio e nella Chiesa non possono mancare i mezzi perché il singolo fratello possa conseguire siffatto obiettivo di ritorno al Signore.
Ciò tuttavia non sarà mai fattibile senza la previa, umile consapevolezza di non essere affatto perfetti o elevati rispetto ai cosiddetti "peccatori" comunemente intesi. Già altrove Gesù invitava chi si ritenesse davvero giusto a "scagliare la propria pietra" contro una peccatrice meritevole di lapidazione ("Chi è senza peccato, scagli la prima pietra"); adesso ribadisce tale concetto con particolari riferimenti a sciagure che hanno colpito chi era reo e meritevole di condanna: certi Galilei che erano stati condannati a morte da Pilato dopo aver fatto sacrifici inconsulti e diciotto persone sulla quale era crollata la torre di Siloe. Che loro abbiano subito tale punizione non vuol dire che altri siano più immacolati di loro e che non vi sia, fra coloro che si reputano giusti e impeccabili, chi meriterebbe anche una sorte peggiore. Come si diceva all'inizio, è inopportuno pensare di essere superiori agli altri o migliori quanto alla santità e alla perfezione: parimenti è presuntuoso e arrogante considerarci meno peccatori rispetto ai "lontani" o agli "infedeli", ragion per cui anziché ergerci a giudici degli altri dovremmo riprovare noi stessi ad oltranza, autoaccusarci e redimerci.
Se però la conversione è un dovere inderogabile di tutti, la pazienza di Dio concede moltissime deroghe a tutti. Dio sa attendere anche fino all'inverosimile, così come dimostra la parabola del fico sterile che il padrone accetta di non estirpare dal terreno pazientando ancora per un anno, il tempo che possa recare frutto. In agronomia è impossibile che una pianta di fico non sia in grado di recare frutto; se l'evangelista Luca la riscontra sterile è semplicemente per tratteggiare lo stato di vacuità e di infruttuosità morale di cui è capace solamente l'uomo: questi è talmente peccatore e refrattario alla conversione che potrebbe paragonarsi ad un fico che non reca frutto (cosa inverosimile). Dio tuttavia non si arrende all'ostilità umana e attende con pazienza, fiducioso che i frutti degli di penitenza si mostrino effettivi poiché nella volontà di salvezza divina vi è il sacrificio dell'attesa del ritorno dell'uomo, lo spasimo a tutti i costi perché anche un solo soggetto si converta e viva. Pazienza e sopportazione che diventeranno poi manifeste nella croce. Se l'amore di Dio spinge alla conversione (Rm 2, 4) la pazienza e la disponibilità sono prerogative dell'amore inesauribile di Dio che rende la conversione un fatto possibile: Dio non ha fretta nell'aspettare aspettare così come l'uomo non ha fretta di migliorare.
Quando siamo presi dall'impazienza nei confronti degli altri, occorre che diamo uno sguardo alla pazienza di Dio nei nostri confronti.