Omelia (17-03-2013)
Riccardo Ripoli
Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra

Quante pietre lanciamo ogni giorno, quante volte condanniamo il nostro prossimo, quante volte giochiamo a fare Dio. Eppure Gesù ci insegna in modo inequivocabile a non giudicare. Senza andare tanto lontano guardiamo nelle nostre parrocchie, nel proprio ambiente, sul posto di lavoro, tra i banchi di scuola quante dita puntate contro questo o quello. Non si guarda a quanto di buono abbia fatto una persona, si cerca il male per poterlo giudicare, per farlo passare per "cattivo" per "peccatore".
Per cosa lo facciamo? E' evidente, perché giudicando gli altri, sminuendoli possiamo esaltare la nostra persona. E' un po' come dire "vedi quello ha fatto questo" e con ciò si lascia intendere che noi quella cosa non la facciamo, anche se magari ne facciamo di peggio.
A volte penso che la Chiesa stessa sia pronta a giudicare, come nel caso di persone separate. E' un peccato, è vero, ma non così grande da impedire a quella persona di avvicinarsi ai sacramenti. E se poi la separazione è stata subita? Se quella persona non voleva, ma il coniuge se ne è andato da anni? Senza considerare che chi si separa fa un peccato, grave quanto volete, ma uno soltanto, una volta. Ma non era forse Gesù che diceva "perdona settanta volte sette"? Come può la Chiesa arrogarsi il diritto di giudicare? Eppure la stessa Chiesa si contraddice quando accetta, come insegnato nel Vangelo, la confessione come remissione di tutti i peccati che sono stati dichiarati.
Da oltre ventisei anni mi occupo di bambini e ragazzi che provengono da situazioni difficili, da famiglie problematiche. Di questi nessuno, a memoria mia, ha una famiglia canonica, regolare, con un papà ed una mamma regolarmente sposati. In moltissimi casi le mamme sono coloro che hanno più subito la violenza del marito, spesso picchiate, violentate, abusate in mille modi, fatte prostituire e qualora abbiano il coraggio di ribellarsi, di fuggire dal loro aguzzino, magari anche per proteggere i propri figli, vengono condannate a restare fuori dai sacramenti, viene detto che la Chiesa non perdona il loro peccato. Quale peccato? Quello di voler evitare a sé e al figlio ulteriori violenze?
Purtroppo quest'aria di giudizio e di condanna è nell'aria e si avvisa bene in certi momenti della nostra vita, un'aria che i ragazzi respirano. Come possiamo poi far loro capire che devono perdonare i torti subiti perché ce lo insegna il Signore, quando proprio la Chiesa non persona i loro genitori?
Non lamentiamoci poi se nelle nostre parrocchie i giovani sono sempre meno, la colpa è anche nostra perché la Chiesa siamo noi. Noi accettiamo e spesso subiamo. Non si devono fare le rivoluzioni, ma si deve avere il coraggio di dire la propria, anche se questo vuol dire attirarsi qualche antipatia, ma il dialogo passa attraverso le opinioni contrarie ed è così che cresciamo, con il dialogo.