Omelia (17-03-2013)
don Giovanni Berti
I gesti della misericordia

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I gesti a volte dicono più delle parole... Un gesto arriva più velocemente al cuore, e le parole servono a spiegare meglio il significato del gesto. Il problema è che quando i gesti non sono in sintonia con le parole, si crea un cortocircuito che non porta da nessuna parte.
Il Vangelo di questa quinta domenica di quaresima è pieno di gesti e poche ma significative parole.
Gesù è nel Tempio, al cospetto del massimo segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo.
La donna di cui non viene riportato il nome (se vogliamo possiamo mettere il nostro nome... siamo noi quella donna) viene messa in mezzo, tra Gesù e i suoi storici accusatori, gli scribi e i farisei (anche loro senza nome... e anche qui possiamo metterci il nostro).
Le parole dei farisei sembrano una innocente domanda di discepoli che vogliono sapere dal maestro tutto quello che riguarda il peccato e la condanna secondo la legge di Mosè. Ma tutti i gesti e il tono della voce che ci pare di udire leggendo il racconto di Giovanni, dicono che il loro vero interesse è accusare Gesù e poterlo "fregare" con le sue stesse parole.
Gesù questa volta non risponde subito con altre parole ma con un gesto tanto strano quanto incredibilmente efficace. Si china per terra e per terra scrive.
Con un gesto simbolico Gesù riassume la sua storia e la sua identità. Non rimane in alto a pontificare sul bene e sul male, ma scende a terra, proprio là dove immaginiamo sia la donna, e dove questa donna rischia di finire mentre viene lapidata.
Gesù si china a terra proprio dove questa donna anche dal punto di vista morale e spirituale si trova. La donna ha fatto qualcosa che non doveva fare, e lei per prima lo sa. Forse lei stessa conosce bene la legge di Mosè ed è consapevole che deve morire per la sua condotta. Che sia giusta o meno questa legge mosaica, la donna si trova a terra anche spiritualmente, perché vede i responsabili religiosi del suo tempo pronti a condannarla.
Gesù prima di rispondere alla domanda maliziosa dei farisei e degli scribi, si china a livello della donna con un gesto che è già inizio di perdono e misericordia.

Cosa avrà scritto per terra? Alcune tradizioni dicono che ha scritto i peccati dei presenti per metterli di fronte alla loro piccolezza.
Con i giovani ieri sera abbiamo letto questo brano e ho chiesto loro di immaginare Gesù che scrive per terra, e di dire cosa secondo loro ha scritto.
Interessanti le proposte fatte.
C'è chi ha detto che Gesù ha scritto che il male non si combatte con il male ma con il bene. Uno dei giovani ha immaginato Gesù che tira una linea tra loro e la donna, in modo da far loro capire di fermarsi prima e di non andare oltre al linea della strada dell'odio, dalla quale poi non si torna più indietro. Un altro ha pensato che Gesù ha disegnato una pecora, per ricordare che anche questa donna fa parte del gregge del Signore e che lui è venuto a salvare la pecora smarrita e non a condannarla.
Uno ha pensato che Gesù ha scritto proprio la frase che pronuncerà successivamente a voce ("Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei") in modo che queste parole si fissino nella mente e nel cuore dei presenti, come stile perenne di misericordia reciproca.
Io ho pensato che Gesù con il dito ha segnato per terra attorno alla donna diverse scritte: "sono tua sorella", "sono tua madre", "sono la tua amica", "sono la tua vicina di casa", "sono la tua compagna di lavoro...", in modo che coloro che la stavano per lapidare non si fermino al solo aggettivo "peccatrice", ma vedano in questa donna tutta una vita e un mondo che va conosciuto a fondo, e non condannato frettolosamente.
Gesù si alza solamente quando tutti sono andati via e rimane solo con questa donna. E' il gesto della resurrezione nella quale vuole coinvolgere anche lei. La risolleva prima spiritualmente e poi la invita risollevarsi nella vita ("Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più").
I gesti di Gesù sono stati il veicolo efficace di quello che le parole hanno detto. Lui condivide realmente la condizione della donna, e in questa condivisione profonda e vera la donna si sente risollevata e invitata a vivere di questa misericordia perenne.
Siamo noi questa donna, quando ci sentiamo a terra e la polvere si mescola con la nostra tristezza e paura di non farcela. Siamo noi anche questi farisei e scribi, quando alziamo le mani e puntiamo il dito per condannare, diventando ciechi verso noi stessi. Siamo noi anche Gesù, quando ci mettiamo gli uni al livello degli altri, quando siamo capaci di piegarci nella condizione di chi si sente a terra e ha bisogno non di condanne ma di condivisione.


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