Omelia (20-03-2013) |
Riccardo Ripoli |
Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato Ci vantiamo tanto di essere liberi. Liberi dal giogo di una dittatura, liberi nelle nostre abitudini, liberi di fare qualunque cosa ci passi per la mente. Ma siamo sicuri di essere veramente liberi? Non sarà piuttosto un'illusione per addolcire un'amara realtà? Ditemi se vi sentite liberi dalla cupidigia, dall'alcool, dalla droga, dalla bramosia di potere, dal voler tenere tutto sotto controllo, liberi di dire la vostra opinione qualunque essa sia in qualunque circostanza a qualunque persona, fosse anche il vostro datore di lavoro o colui che può decidere se darvi un permesso o meno per la vostra attività. No, non siamo completamente liberi, ci illudiamo di esserlo perché "libertà" è una bella parola, suona bene, ti fa credere di poter fare qualunque cosa. L'adolescente lo impara alla svelta, è su questo valore che si gioca la vita. Quante volte un ragazzo di circa sedici, diciotto anni decide di prendere un bivio piuttosto che un altro, quante volte decide se studiare o ascoltare la musica, giocare al computer, evitare la scuola per uscire con gli amici. Una volta rappresenta un'eccezione, la seconda un piccolo svago, ma ripetere costantemente questa scelta, anche se in piena libertà, lo condurrà ad essere schiavo della propria ignoranza, perderà l'occasione di farsi una cultura, imparare un mestiere, costruirsi il proprio futuro. Una volta cresciuto sarà imprigionato, schiavo dell'errore fatto da ragazzo, gli mancherà qualcosa, avrà poca libertà di poter scegliere un lavoro e dovrà accontentarsi di svolgere mansioni che avrebbe volentieri evitato, costretto ad accettarle per necessità, per sopravvivenza. Quelle catene le ha costruite lui e solo lui potrà spezzarle riprendendo in mano i libri di studio e migliorando le proprie conoscenza. Più tardi lo farà e maggiore sarà il peso che dovrà sopportare. La mia mamma smise di studiare a sedici anni, andò a lavorare, poi un giorno la provincia le disse "signora lei è un'ottima professoressa di stenografia e dattilografia, ma per continuare ad insegnare deve prendere un diploma". Con grandissima fatica, io avevo otto, dieci anni, il lavoro, la casa da mandare avanti, un marito ed un figlio da accudire si iscrisse alle serali. Quei due anni che la portarono a prendere il diploma in maniera forzata le insegnarono quanto fosse bello studiare, approfondire, imparare al di là del proprio ambito, così si iscrisse all'università conseguendo la laurea in lettere quattro anni dopo con un voto vicinissimo al massimo. La laurea le aprì nuove opportunità lavorative e si sentì libera di decidere della propria vita, libera di andarsene da un ambiente ostile, libera di fondare una scuola per aiutare tanti ragazzi in difficoltà, sogno che si infranse contro il muro del cancro, ma è morta da donna libera. E' così per tutti noi. Siamo legati a mille debolezze e solo abbandonando, non senza lotta e senza fatica, il nostro peccato saremo veramente liberi di poter agire a testa alta senza doversi nascondere, senza la paura che qualcuno ci punti il dito contro e infici il nostro operato. |