Omelia (24-03-2013)
mons. Roberto Brunelli
Le Palme, con le parole di papa Francesco

Comincia la celebrazione della Pasqua, culmine dei riti con i quali ogni anno si ripropongono i fatti della divina redenzione. Quella di oggi è una celebrazione a due facce: la prima ricorda il trionfale ingresso di Gesù a Gerusalemme, accolto da una folla festante; l'altra anticipa il racconto di quanto poi si celebrerà in settimana. Seguendo gli ultimi atti della vicenda terrena di Gesù, giovedì si fa memoria della sua ultima Cena, con il tradimento di Giuda, la lavanda dei piedi, e soprattutto l'istituzione dell'Eucaristia, nonché del sacerdozio che la rinnova a beneficio di tutti i fedeli. Venerdì si ricordano le indicibili sofferenze della Passione, la morte e la sepoltura; e sabato, dopo tutto un giorno per riflettere in silenzio, al calare della notte si celebra la veglia in attesa della Risurrezione.
Per restare alle letture di oggi, la prima (Isaia 50,4-7) è un impressionante preannuncio di quanto poi è accaduto davvero. La seconda (Filippesi 2,6-11) inquadra la Pasqua nell'intera vicenda dell'Uomo-Dio. Il vangelo narra la Passione, quest'anno nella versione secondo Luca (22,14-23,56). Nel racconto ogni evangelista presenta particolari propri, scegliendo da una tradizione molto articolata quegli aspetti che meglio rispondono ai propri intendimenti. Luca, ad esempio, è il solo a riferire che prima dell'arresto nell'orto degli ulivi Gesù, consapevole di quanto stava per accadere, visse un'agonia tanto angosciante da fargli sudare sangue. La circostanza rende poi di grande rilievo le (comprensibilmente poche) parole pronunciate da Gesù in croce, tre delle quali sono riportate proprio da Luca: brevi frasi, sulle quali non si riflette mai abbastanza.
La prima frase è riferita a quanti l'avevano appena inchiodato al legno: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Quale sublimità! Coerente sino all'ultimo con quanto aveva insegnato, Gesù offre qui il massimo esempio dell'amore. Viene da chiedersi se quanti si ritengono suoi discepoli sanno fare altrettanto; se, pur ben lontani dall'essere crocifissi, sanno sempre perdonare le offese ricevute.
La seconda frase è rivolta al cosiddetto buon ladrone: "Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi! L'altro invece lo rimproverava dicendo: Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male. E disse: Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno. Gli rispose: In verità io ti dico: oggi sarai con me nel paradiso". Parole dette a un brigante, che all'ultimo ha avuto fede in lui; ma parole rivolte anche a chiunque si senta gravato da colpe: e chi, tanti o pochi, non porta simili pesi? Nessuno da solo se ne può liberare la coscienza; ma tutti lo possono fare, rivolgendosi a lui. Tornano in mente le parole pronunciate dal nuovo papa all'Angelus di domenica scorsa: "Dio non si stanca mai di perdonare: siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono!"
La terza frase di Gesù in croce è costituita dalle ultimissime parole, pronunciate prima di spirare: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". Nell'apice della desolazione egli non ha perso la fiducia, guarda oltre il momento presente, sa di poter contare sull'infinto amore del Padre. Quel Padre, come egli ha insegnato, che è suo e anche nostro: c'è da chiedersi se noi, che non saremo mai tanto desolati quanto lo è stato lui in croce, abbiamo fiducia, sappiamo guardare oltre, viviamo nella consapevolezza che il Padre suo è anche il Padre nostro.
Padre, perdona loro... Sarai con me nel paradiso... Padre, mi consegno nelle tue mani... Tre frasi, più che eloquenti. Il Figlio di Dio ha condiviso la nostra umanità; ha insegnato come darle senso e valore, e lui per primo, quegli insegnamenti, li ha messi in pratica.