Omelia (21-03-2013) |
Riccardo Ripoli |
Se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte Da sempre l'uomo ha accarezzato il mito dell'immortalità per sconfiggere la morte. Addormentarsi con l'idea di un risveglio in terre dove tutte le cose belle della vita possano continuare o avverarsi. Dai Faroni che si facevano mummificare e chiudere con i propri servi e tesori nelle piramidi, fino ai musulmani che credono nel risveglio tra belle donne pronte a soddisfare ogni loro piacere, passando attraverso la reincarnazione in animali. Tutto parte da un profondo desiderio egoistico ed è dovuto all'uomo senza alcun giudizio da parte di altri. Se si verificano certe condizioni è automatico che una volta morti ci accada una certa cosa. Parlare di morte oggi spaventa, ma per chi ha Fede la morte è il giorno del ricongiungimento a Dio, è il momento della nuova rinascita. Il parlare di resurrezione, di Paradiso, di incontro con Dio è diverso per un cattolico rispetto alle altre religioni perché non parte da una nostra esigenza, ma da una promessa fatta da Gesù. In tanti non ci avrebbero nemmeno pensato ad una vita eterna se Cristo non fosse venuto a dirci "guardate che se vi comportate bene ci sarà una gioiosa eternità davanti a voi", quindi, altra differenza, dobbiamo impegnarci tutta la vita per meritarci un così grande premio e sarà Dio a giudicare. Infine non si parla di corpo ma di spirito, di una nuova vita, di qualcosa che non conosciamo e non possiamo nemmeno immaginare. Ognuno di noi, nel proprio percorso su questa terra muore tantissime volte in varie e diverse occasioni. Muore il bambino per diventare ragazzo, poi muore il ragazzo per divenire uomo. Si chiude con un modo di vivere per abbracciarne un altro. Si cambia lavoro per cercare una situazione che ci dia maggior soddisfazione. A volte sono morti naturali, normali, altre sono da noi provocate come fossero un suicidio, come ad esempio quando si decide di ripudiare moglie o marito a favore di una persona la cui compagnia ci dia maggior piacere. Sono tutti esempi di morte e resurrezione, di cambiamento. Pensate ad un bambino che viene preso in adozione o in affidamento. Lui vive la sua quotidianità che ai nostri occhi può sembrare brutta, ma nella quale il bimbo ha trovato una sua dimensione ed equilibrio. Qualcuno decide per lui ed egli non può ribellarsi, qualunque sforzo faccia per restare con la sua famiglia di origine è inutile. Così come sarà Dio a decidere quando giungerà la nostra ora e sarà sempre lui, senza che noi ci si possa ribellare, a decidere cosa ne sarà di noi. Il bambino che viene preso da una famiglia adottiva o affidataria è comprensibilmente spaventato, talvolta terrorizzato, come accade ad ognuno quando arriva la morte, perché non sa, non capisce dove andrà a stare, cosa gli accadrà. Ci dovrebbero essere delle persone in grado di tranquillizzarlo, di prendergli la mano, di spiegargli cosa gli accadrà. La fiducia in quella persona farà la differenza per la serenità di quel bimbo nel momento del cambiamento, così come la fiducia nelle persone che ci parlano di Dio e della vita eterna farà la differenza nella serenità che avremo andando incontro alla morte. Parlare di morte non deve essere un tabù perché è l'unica cosa certa che abbiamo nella vita, ma dobbiamo avere fiducia in Dio, nelle parole proferite da Gesù nel Vangelo, e solo così potremo affrontare la vita a testa alta, senza paura del domani, con gioia e sicurezza, continuando a progettare per il bene degli altri anche a novant'anni perché chi costruisce qualcosa di buono su questa terra a favore del prossimo troverà l'amore di Dio ad accoglierlo in Paradiso. |